di Dario Di Vico. L’accusa di thatcherismo rivolta da Susanna Camusso a Matteo Renzi ha fatto sobbalzare molti dentro Cgil-Cisl-Uil. Per carità, è difficile trovare un dirigente sindacale che straveda per il premier e che lo senta culturalmente vicino a sé ma i più non hanno perso il senso della misura e non ci stanno a presentare Renzi come l’Iron Boy, il ragazzo di ferro.
Raffaele Bonanni lo ha detto chiaro e tondo ma non è il solo a pensare che Camusso abbia sbagliato a imbracciare il bazooka. Al di là delle forzature polemiche però il malessere del sindacato è assai più composito. Innanzitutto c’è una scissione non dichiarata tra le strutture di fabbrica e i vertici romani. Se si vanno a spulciare i contratti firmati in sede aziendale — e che spesso non vengono spediti a Roma per paura di censure da parte della nomenklatura — la ragionevolezza la fa da padrona. Si contratta di tutto, anche le materie considerate più scabrose come la lotta all’assenteismo e i premi legati alla produttività. Nel 90% dei casi firmano le Rsu di tutte e tre le confederazioni e quando portano l’accordo al vaglio del referendum quasi sempre i lavoratori confermano la scelta fatta. Complicità è una parola grossa ma in fabbrica sembra che il conflitto che divide azienda e operai sia infinitamente meno acuto di quello che per esempio divide le imprese dalle banche che non erogano il credito. Aggiungiamo che in questi anni la struttura industriale è cambiata, molta flessibilità è stata scaricata sulla filiera di fornitura e di conseguenza il vero problema sta nelle commesse che l’imprenditore riesce a portare a casa. Gli avversari, dunque, sono fuori dai cancelli. Non dentro.
Se ci stacchiamo dai luoghi della produzione e mettiamo invece sotto la lente di ingrandimento il sindacato-istituzione l’agenda delle priorità cambia. L’ultimo congresso nazionale della Cgil si è chiuso con la convocazione di un’ulteriore conferenza d’organizzazione e l’ipotesi di nominare un segretario generale aggiunto. L’apparato si è chiuso a riccio a difesa della segreteria Camusso e ha sconfitto lo sfidante Maurizio Landini ma le ultime 24 ore del congresso hanno vissuto di voci e paure. Era atteso in sala un intervento dirompente del segretario della Fiom che avrebbe dovuto porre con forza la questione morale, incalzando il gruppo dirigente della Cgil sulla trasparenza dei bilanci e i privilegi delle burocrazie. Alla fine il leader della Fiom ha scelto di edulcorare il suo intervento e quello che avrebbe rappresentato per la platea di Rimini un vero shock è stato quantomeno rinviato. Intanto comunque la Fiom continua a comportarsi come una quarta confederazione e, seppur il dialogo con Palazzo Chigi sembra tramontato, Landini a colpi di manifestazioni, presenze televisive e libri si presenta come l’alternativa alla segreteria. Nella categorie e nei territori poi la Cgil ha attuato un certo ricambio: a Treviso il segretario non ha 40 anni, alla testa della categoria emergente — la Filcams — è stata nominata una donna poco più che quarantenne ma gli entranti contano poco, non proiettano una soggettività nuova e un legame più ricco con la struttura sociale. Si ha invece l’impressione che in Cgil più che strutture formali alla fine l’egemonia sia in mano al triangolo Camusso-Damiano-Epifani ovvero il segretario e due ex dirigenti Cgil che occupano posizioni chiave in Parlamento.
La Cisl nel contrasto tra Renzi e la Cgil rischia di fare la figura del vaso di coccio. Bonanni con ostinazione ripete che non tutti i sindacati sono uguali ma visto che il governo non gli dà retta e non gli concede uno straccio di tavolo è condannato a restare a metà del guado. Vorrebbe collaborare ma il governo non vuole, lui chiede un nuovo scambio e da palazzo Chigi gli fanno marameo. Qualche faccia nuova nelle segreterie la si trova anche in Cisl e sarà proprio una donna, Annamaria Furlan, a sostituire lo stesso Bonanni ma non si può certo dire che questa staffetta entusiasmi l’organizzazione visto che l’erede è sconosciuta ai più e ha un rating esterno bassissimo. Nei territori qualche dirigente morde il freno e non ci sta a restare schiacciato nella tenaglia Renzi-Camusso. Gigi Petteni, segretario della Lombardia, ad esempio, sostiene che se in una prima fase «Renzi spara nel mucchio non possiamo che difenderci tutti assieme» ma appena possibile la Cisl deve avanzare una proposta che rifletta la sua cultura del lavoro. Se ciò malauguratamente non dovesse avvenire da Roma, «saranno i territori a muoversi». Vedremo. La Uil poi sta scontando una delle fasi di minore visibilità della sua storia di confederazione outsider, la segreteria Angeletti ha perso smalto negli ultimi trimestri e è già stato programmato da tempo il cambio al vertice. Sulla poltrona che fu di Giorgio Benvenuto salirà a fine 2014 Carmelo Barbagallo, un dirigente che persino i benevoli considerano rétro e che rischia di far diventare la Uil non più un sindacato aperto/scomodo ma un club a inviti. Se si cerca un caso per sostenere la bontà delle primarie anche nella rappresentanza, è difficile trovarne uno migliore.
Tutte queste contraddizioni, per così dire, precipiteranno nella battaglia sull’articolo 18. Il video con Renzi che racconta le storie di vita dei precari e li contrappone al dinosauro sindacale è il tema ricorrente delle telefonate di queste ore e la controffensiva di Cgil-Cisl-Uil sarà proprio all’insegna del dialogo con le nuove generazioni. Prepariamoci, dunque, ai gazebo nelle piazze, a strategie di comunicazione a tappeto sui social network e a giovani delle associazioni cattoliche di base che parleranno ai comizi. I soldi per ora, infatti, non sono un problema. Grazie al tesseramento e ai centri di assistenza fiscale i sindacati hanno risorse in quantità tale che i partiti se le sognano di notte e quindi possono finanziare la battaglia contro Renzi. Le manifestazioni costano (tra pullman e vitto un militante che si sposta a Roma costa almeno 30 euro) ma si fanno preferire agli scioperi perché basta mobilitare la cerchia dei simpatizzanti senza chiedere sacrifici salariali agli operai. Se però qualcuno nel sindacato pensa di preparare il Cofferati bis e riempire il Circo Massimo conviene che ripeta ad voce alta quanto Carla Cantone, una dirigente della Cgil tutt’altro che moderata, ha detto di recente all’esecutivo dell’organizzazione: «Cari miei, stiamo attenti. L’esercito delle battaglie di una volta non c’è più».
Il Corriere della Sera- 21 settembre 2014