«Siamo dall’altra parte della barricata». Questa è l’espressione più usata da chi è in prima linea, fra i monitor e i ventilatori di terapie intensive e sub intensive. «Dall’altra parte» rispetto alle vie dello shopping prese d’assalto e agli aperitivi. La voce dei medici che definiscono così il loro infinito «turno di guardia» è invariabilmente stanca. Il dottor Accurso Aloi di mestiere fa lo pneumologo. E lo fa in quella che era la pneumologia di Dolo, nel Veneziano, e che ora è la sub intensiva di un ospedale Covid.
Dottore, quanti pazienti ha in reparto?
«Quattordici più altri 4 posti letto variabili. Diciamo che da più di un mese, da quand’è iniziato il disastro, siamo sui 18-20. La situazione è drammatica, non c’è un’altra definizione».
Manca personale?
«Fortunatamente la componente infermieristica è più che sufficiente ed è stata formata ma la parte medica…siamo in 6 più il primario, mancano almeno due medici. Lavoriamo sulle 24 ore ma non riusciamo a coprire le notti quindi le guardie sono interdivisionali. Il medico reperibile è costantemente chiamato».
Una giornata tipo?
«Prendi servizio alle 8, finisci quando finisci, anche alle 20. Poi alle 22 ti chiamano a casa e torni in ospedale fino alle 4 del mattino. Capita. Mi preoccupano il resto delle patologie».
Ci spieghi…
«Non si trovano medici. Mi chiedo: e le altre patologie respiratorie? Le neoplasie polmonari? Chi le vede? Gli ambulatori sono chiusi…li perdiamo per la strada quelli?».
Il clima in reparto com’è?
«Facciamo turni massacranti, ore su ore, arriviamo a casa distrutti e soddisfatti di aver salvato qualcuno».
La dotazione di Dpi e attrezzature è sufficiente?
«Sì, tanto di cappello all’azienda, durante la prima ondata usavamo i caschi ma ora ci hanno fornito tutto. Mancano solo le braccia ed è una disperazione, io sono tornato al lavoro ieri, altri due colleghi dei sei di cui sopra sono ancora malati».
Covid?
«Già. Metà dei medici del mio reparto si sono ammalati insieme. Io me la sono cavata in 15 giorni, i colleghi 3 settimane».
La carenza di medici esisteva già prima del Covid?
«Sì. La macchina dell’organico non era tarata adeguatamente neanche prima. Eppure, fin quando abbiamo potuto, abbiamo dato una mano anche all’ospedale di Chioggia che la pneumologia non ce l’ha andando su e giù più volte a settimana. Ora non riusciamo più. Fa male vedere che nel periodo estivo nulla è stato fatto per bandire posti per la pneumologia. C’è, invece, un’incredibile ed inedita solidarietà fra reparti. E posso dire che l’amministrazione ha fatto un bel lavoro sui tanti reparti messi in stand by: ginecologia, geriatria, ortopedia. Ma ovviamente il personale arrivato in sub intensiva si è dovuto improvvisare con un grande sforzo. Non è l’intensiva ma anche qui si deve imparare a gestire ventilatori,macchine ad alto flusso di ossigeno e così via. Ora grazie a Dio abbiamo un ventilatore per ogni letto. Ma per chiarezza: i posti letto in ospedale sono tutti saturi. Va chiuso e subito il sistema esterno. Tanto il giorno di Natale sappiamo già che saremo tutti qui. Lavoriamo così 7 giorni su 7. E voglio chiarire anche un altro aspetto se può servire: i morti non sono solo in intensiva, in sub intensiva abbiamo ormai il 40% di mortalità».
Il paziente che le è rimasto nel cuore?
«Un collega che conoscevo di vista. Ha girato per due mesi sub intensive e intensive. Ho avuto l’onore di dimetterlo io, è tornato al lavoro a 62 anni, ora siamo molto amici. Fa male, però, vedere colleghi contagiarsi al lavoro. Chi è nella stanza dei bottoni più che le tabelle dei contagi dovrebbe mostrare la sofferenza dei pazienti. Guardare quegli occhi imploranti da dietro la visiera…non te lo scordi. E loro vedono noi bardati come astronauti tanto che ci siamo appiccicati addosso nostre foto per farci riconoscere. Io so cosa vuol dire, stai male, sei in ospedale e a casa hai una famiglia ammalata. Mia moglie è finita in ospedale. Non lo auguro a nessuno. Il Covid è peggio della peste ma è una grande lotta che ci siamo imposti per cercare di salvare delle vite».
Il Corriere del Veneto – Martina Zambon