L’impianto del maxiemendamento approvato il 20 novembre al Senato è sostanzialmente uguale a quello presentato in forma di articolato nel mese scorso ma alcuni passaggi sono stati affinati. Preliminarmente si conferma una valutazione già fatta a caldo e cioè che da parecchio tempo non venivano fatti così pochi interventi normativi sul pubblico impiego. Anzi, a dirla tutta, nel testo c’è veramente poco.
Congedi di paternità. Probabilmente il decreto legge n. 90 dello scorso anno e la legge delega n. 124 di agosto 2015 hanno assorbito tutti gli interventi sul pubblico impiego che il Governo riteneva di dover adottare. Procedendo in ordine, merita un cenno il comma 109 dove si proroga anche per il 2016 il congedo obbligatorio di paternità; la disposizione si applica soltanto ai lavoratori privati in quanto originariamente prevista nella legge 92/2012 (la legge Fornero) e necessitava di una apposita “armonizzazione” mai effettuata. Congedi di paternità. Il problema è sostanzialmente finanziario ma resta il fatto che una norma di alto valore sociale è inibita ai lavoratori pubblici. Nell’abbandono dell’articolato si è avuto quantomeno il pregio di non leggere più rubriche come «Giovani eccellenze nella Pubblica amministrazione». Nel comma 118 viene prevista l’indisponibilità dei posti di dirigente vacanti alla data del 15 ottobre 2015 tenendo comunque conto di coloro che hanno diritto alla conservazione del posto. Dal congelamento per espressa previsione del successivo comma 123 sono esclusi, tra le altre figure, i dirigenti sanitari del Ssn.
Retribuzione accessoria. Nel comma 128 si dispone la reiterazione del congelamento dei fondi per la retribuzione accessoria all’importo determinato per il 2015 e la loro riduzione in ragione del personale cessato, tenendo però conto degli “assumibili”. In pratica, dopo un solo anno, si ripropone in maniera attenuata quello che diceva l’articolo 9 della legge 122/2010.
Rinnovi contrattuali. In relazione alla questione dei rinnovi contrattuali, i commi da 246 a 249 stabiliscono che lo stanziamento di 300 milioni vale soltanto per «gli oneri posti a carico del bilancio statale», come peraltro è sempre avvenuto in passato in ossequio all’articolo 48 del decreto legislativo 165/2001 citato appunto dalla legge di stabilità. Con la evidente conseguenza che due comparti chiave come la sanità e le autonomie locali (circa un milione e mezzo di lavoratori) non sono ricompresi in “quello” stanziamento. Per il Servizio sanitario nazionale rimane irrisolta la circostanza se le risorse per i rinnovi siano all’interno del Finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard di 111 miliardi indicato in altra parte della stessa legge di stabilità (comma 325) o restino davvero a diretto carico delle aziende sanitarie, visto che il comma 248 sancisce che gli oneri «sono posti a carico dei rispettivi bilanci». L’ultimo dei commi citati ribadisce che le disposizioni si applicano anche ai convenzionati. Con un Dpcm da adottare entro gennaio sono definiti i criteri per determinare gli oneri contrattuali.
Interventi per la sanità. Per ciò che concerne le specifiche disposizioni sulla sanità (commi 287-332), si possono rilevare questi interventi. Innanzitutto l’obbligo di pubblicazione integrale dei bilanci (comma 290) e nel comma seguente, nel caso di mancato rispetto, la previsione di illecito disciplinare e responsabilità amministrativa per il direttore generale e per il responsabile della trasparenza e la prevenzione della corruzione. La formulazione è scorretta in quanto il direttore generale non è soggetto a “illecito disciplinare” e l’altra figura citata è di norma costituita da due persone fisiche distinte. Seguono una serie di disposizioni sugli interventi in caso di scostamenti di bilancio e sulla definizione dei piani aziendali di rientro.
Aziende uniche. Spicca il comma 305 che delinea le condizioni e il percorso per giungere alle “aziende sanitarie uniche”. La norma parla esplicitamente di “incorporazione” delle aziende ospedaliero universitarie nelle Asl per cui sembra scontato che la nomina del direttore generale resti di esclusiva competenza della Giunta regionale senza la previa intesa del Rettore. Dall’operazione sono escluse le aziende universitario ospedaliere. L’operazione – che trova la sua fonte giuridica nell’articolo 2501 del codice civile – è inibita alle Regioni in piano di rientro.
Nei commi 312 e seguenti si trovano disposizioni finanziarie e si dovrebbe ritenere che sia passato il finanziamento dei nuovi Lea per l’importo di 800 milioni (comma 314) e quello per i farmaci innovativi (comma 326).
Non c’è invece traccia di risorse extra per i rinnovi contrattuali, questione fortemente posta dai presidenti delle Regioni.
Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità – 8 dicembre 2015