NEW YORK – Cominciano le proteste. Un gruppo di dipendenti pubblici, rimasti a casa e senza stipendio da questa mattina per i bisticci dei politici, ha inscenato una piccola dimostrazione: «A casa senza stipendio per colpa dei politici, ma noi i conti dovremo pagarli. Come arriviamo alla fine del mese?». Colpisce tuttavia che poco meno di un milione rimasti a casa siano stati soltanto poche decine a protestare e neppure con troppa convinzione.
Niente gazzarra, dunque, niente picchetti o manifestazioni di migliaia di persone per strada. Gli “statali” americani, secondo istruzioni, sono andati diligentemente in ufficio per chiudere, hanno lasciato messaggi in segreteria telefonica, prelevato effetti personali, organizzato la chiusura nei vari dipartimenti. In tutto avevano quattro ore per avviare la “loro” sospensione. Poi a casa. Nei parchi nazionali i Rangers hanno dato 48 ore ai campeggiatori per sgombrare.
Sui 2,9 milioni di dipendenti pubblici, 818mila secondo i calcoli più aggiornati resteranno a casa, ma un altro milione andrà al lavoro senza paga.
Resta la domanda legittima: come vivranno adesso questi dipendenti pubblici vittime della politica? La busta paga per ora è sospesa, in genere i dipendenti vengono pagati ogni due settimane e non mensilmente. Se si troverà un accordo nelle prossime ore il problema non si porrà, ma se la “serrata” del governo dovesse continuare anche per due settimane, il danno per i dipendenti già tirati allo stremo per arrivare alla fine del mese potrebbe essere enorme.
I risparmi sono minimi, in molti hanno il mutuo da pagare e se mancano la scadenza rischiano il richiamo dell’ipoteca. Il nodo più complicato: entreranno mai in possesso della loro busta paga una volta risolto il problema? La procedura è complessa.
Tecnicamente i dipendenti pubblici non hanno lavorato e dunque non hanno diritto a un compenso, è come se fossero vacanze forzate, l’equivalente della nostra «solidarietà». Ma al Pentagono dove ci sarà il più grosso numero di forzati del riposo c’erano già da smaltire 6 giorni di ferie per via dei tagli automatici di spesa. Per risolvere la questione quando la partita sarà chiusa dovrà intervenire il Congresso, approvando una mozione per rimborsare i dipendenti sospesi del mancato stipendio.
Ma in questo momento i politici hanno altro a cui pensare. La battaglia infuria per accumulare “punti” e gettare sull’avversario la responsabilità della chiusura. Il Senato si sta preparando a tornare al lavoro. Harry Reid il capo della maggioranza ha detto che considerera’ l’ipotesi di una conferenza congiunta proposta dal presidente della Camera John Boehner.
Potrebbe essere l’unica via d’uscita per mettere da parte le differenze ideologiche e trovare una soluzione per garantire quanto meno i flussi di cassa necessari a far funzionare il Governo. Intanto, questa mattina, la Capitale sembrava una città fantasma. Ministeri chiusi. Musei chiusi. Parchi chiusi. Metropolitana semivuota. Lo stesso capitò 17 anni fa nel 1995. La paralisi durò ben 28 giorni, ma l’economia allora era ben più solida, oggi il danno potrebbe essere gravissimo visto che la ripresa resta debole.
Tutto è cominciato con un accordo mancato: dopo un estremo tentativo, fallito a notte fonda, il Parlamento americano non e’ riuscito a raggiungere un compromesso sul bilancio 2014, che doveva entrare in vigore questa mattina e il governo degli Stati Uniti d’America e’ stato costretto alla chiusura. Intorno alle 23.53 di ieri notte, la Casa Bianca ha inviato la notifica che non avrebbe voluto inviare, ha istruito i ministeri di lasciare a casa tutto il personale non indispensabile e si parla di 800mila dipendenti pubblici che non andranno al lavoro questa mattina, e di un altro milione di dipendenti pubblici che dovranno coprire le posizioni ma che non saranno pagati.
Molti di loro hanno ricevuto ordini di non controllare le loro email e di non proseguire nel disbrigo di pratiche usando i computer da casa. Alcune agenzie chiave come la Federal Reserve, il Pentagono, la polizia di frontiera, gli agenti sanitari, potranno restare al lavoro. Alla Casa Bianca su 1.265 dipendenti, solo 129 saranno autorizzati a restare al lavoro per aiutare il Presidente a svolgere le sue funzioni.
Lo shock nel Paese è grande. Il costo della chiusura ha varie stime, quella che prevale e colpisce è di Brian Kessler, di Moody’s Analytics. Il modello tiene conto non solo del reddito mancato dei dipendenti pubblici, ma delle conseguenze a catena sull’economia dei mancati consumi delle possibili sospensioni dei pagamenti di debiti o dei mutui. L’impatto stima Kessler deve calcolato in dieci volte quello diretto dei mancati introiti. La sua stima in caso di tre o quattro settimane di chiusura? 55 miliardi di dollari, una cifra enorme, pari all’impatto che si è avuto con il tragico uragano Sandy.
I mercati sono all’erta perché in questa situazione sembra impossibile trovare un accordo fra due settimane per innalzare il tetto sul debito, l’altra fatidica scadenza per l’economia americana. Dopo la chiusura del governo si aprirebbe la prospettiva del default, dell’impossibilità dell’America di pagare i sui debiti e il suo servizio sul debito.
Una combinazione mai vista nella storia del paese e in quella dell’economia mondiale: una specie di suicidio economico da tecnicismi, commesso per insanabili incomprensioni politiche, per il solito fanatismo del muro contro muro per la polarizzazione portata all’eccesso con un unico obiettivo: colpevolizzare gli avversari politici. Chi resterà col cerino in mano? È questa la domanda ricorrente a Washington, non la piu’ ovvia e la piu’ giusta: che danno ci sara’ per i nostri cittadini.
Allo stesso tempo si apre un’altra pagina di storia, da questa mattina entra in vigore in America l’Obamacare, il programma per l’assicurazione sanitaria obbligatoria, una svolta per 45 milioni di americani privi di qualunque tipo di copertura. Da questa mattina infatti apriranno gli exchange, dei veri e propri mercati elettronici per la vendita di polizze sanitarie dove gli americani non assicurati potranno cercare la loro copertura sanitaria ideale dal punto di vista economico e per servizi offerti.
Era stato proprio l’Affordable Care Act, il nome formale dell’Obamacare, ad aver scatenato la battaglia politica fra repubblicani e democratici, ad aver rotto il dialogo fra democratici e repubblicani. Alla Camera, sotto il controllo repubblicano, gli esponenti del Tea Party forzavano la mano: l’Obamcare rischiava di diventare una mina vagante per il paese. L’obbligo all’assicurazione, l’approccio “socialista” di Obama si sarebbe trasformato in un costo pari a 1.400 miliardi in dieci anni, dicevano, un “mostro” incontrollato, un prodotto dello statalismo che andava fermato.
La richiesta, molto chiara: per poter approvare il bilancio 2014 che inizia il primo di ottobre secondo l’anno fiscale del governo federale si doveva eliminare il finanziamento dell’Obamacare, si doveva rimandare il programma, approvato nel 2010, di almeno un altro anno. La Camera ha approvato una proposta di legge che includeva l’abolizione del finanziamento ma il Senato l’ha bocciata. A sua volta il Senato proponeva di rimandare di alcune settimane la chiusura del governo per dare spazio ai negoziati.
Questa volta era la Camera a respingere la proposta e a rimandare al Senato alle 19.20 di ieri sera un nuovo progetto di legge, che continuava a prevedere un taglio dell’Obamacare. La bocciatura finale del Senato controllato dei democratici e’ arrivata poco dopo. E Harry Reid, il capo della maggioranza, annunciava che sarebbe andato a casa e che il Senato non avrebbe riaperto fino alle 9,30 del giorno dopo. È stato a quel punto che tutti hanno capito che la partita era persa.
Si tratta di un film già visto: 17 anni fa i repubblicani guidati da Newt Gingrich sfidarono Bill Clinton negandogli allocazioni di spesa per il medicare per l’educazione e per l’ambiente. Il governo americano chiuse per 28 giorni. Ma Gingrich fece un calcolo sbagliato, a cose fatte l’opinione pubblica si schierò con il Presidente. Oggi i nipoti di Gingrich sono ancora più a destra. Hanno chiuso in un angolo il Presidente della Camera Boehner e ripropongono la stessa partita, questa volta usando come ostaggio la riforma sanitaria di Obama, voglio azzerare le allocazioni fondi per il più grande successo di politica sociale della presidenza Obama. Non c’e’ da stupirsi se il Presidente ha rifiutato di “uccidere”, letteralmente “kill” il suo progetto più ambizioso.
Il Sole 24 Ore – 2 ottobre 2013