Il sistema: fatturato a 1,2 miliardi, 3.800 tra aziende e caseifici, 50mila addetti. Il prodotto più blasonato e copiato del Made in Italy in grande affanno. Cia e Coldiretti: rischi ripartiti e una nuova governance
La crisi del latte con i prezzi a terra e l’ipoteca del «fine-quote» sta già facendo sentire i suoi effetti sull’intero sistema nazionale e in particolare sul Parmigiano reggiano, il formaggio made in Italy più blasonato (e copiato) e modello di interprofessione, il cui fatturato al consumo si attesta attorno a 1,2 miliardi. Una filiera che conta 3.800 aziende e 50mila addetti.
Gli allevatori sono sul piede di guerra contro la decisione del Consorzio di ridurre la produzione del 5 per cento. La crisi del prodotto simbolo dell’italianità a tavola prosegue da anni, complici il calo dei consumi e l’offerta elevata degli anni scorsi, favorita anche dall’immissione sul mercato di prodotto a breve stagionatura. Ad appesantire il quadro ci sono anche i contraccolpi dell’embargo russo. I prezzi si sono ridotti di anno in anno, fino ad arrivare a poco più di 7,50 euro al chilogrammo e così non si riesce neppure a coprire i costi. Da qui la richiesta del Consorzio di «programmare l’offerta», cioè ridurla.
Il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, ha sottolineato in occasione della recente audizione alla Commissione agricoltura del Senato che «in una situazione di pesanti difficoltà a carico di tutti gli allevamenti non è pensabile lasciare al mercato una selezione fra allevatori e caseifici che indebolirebbe tutto il sistema. A fronte della debolezza che i caseifici scontano sul versante della commercializzazione diretta, proprio il governo della produzione è un elemento strategico attraverso il quale, come se fossimo di fronte a un’unica fabbrica, si punta a orientare e governare il mercato, con una diretta ricaduta sull’esito delle contrattazioni e delle quotazioni, i cui andamenti sono positivi o negativi proprio in base all’entità quantitativa dell’offerta». Linea ribadita alla tavola rotonda promossa dall’Europarlamento dal direttore del Consorzio, Riccardo Deserti, che ha invitato a «lavorare alla creazione di sistemi contrattualistici tra produttori e venditori».
Ma gli allevatori soci del Consorzio non ci stanno. E come ha affermato Mauro Tonello, vicepresidente della Coldiretti nazionale e presidente dell’Emilia Romagna, «il 70% dei produttori interpellati ha bocciato la riduzione, non ritendendola una politica risolutiva alla grave crisi del settore». D’altra parte – rileva Tonello – gli allevatori guardano oltre i loro confini: basta andare nella vicina Piacenza, dove si respira con il Grana Padano un’altra aria. «Il Parmigiano reggiano da anni è fermo, mentre il Grana Padano è raddoppiato. Gli allevatori del Consorzio più antico (a fine gennaio celebra 80 anni, ndr), che conferiscono materia prima al formaggio di maggiore eccellenza, non trovano più soddisfazione in questo sistema, tantomeno sul prezzo. Da qui il forte disagio». Per la Coldiretti «la situazione richiede un cambio di governance». Sotto accusa l’abbandono della pubblicità in un Paese che consuma il 70% del prodotto; e le modalità dell’export: « Viene assegnato – spiega Tonello – un contributo al commerciante che esporta, al quale viene richiesta un’autocertificazione delle forme esportate. Un sistema che a nostro avviso presenta molti rischi».
Anche la Cia ha invitato a «spingere su un nuovo progetto di Consorzio, con l’obiettivo di un’equa ripartizione del valore aggiunto e dei rischi finanziari nella filiera e a migliorare le politiche per l’export».
Intanto, sul futuro del sistema latte in Italia incombe l’emergenza prezzi: in un anno le quotazioni sono crollate da 47 a 35 centesimi il litro e la trattativa sul nuovo prezzo tra industria e produttori si è arenata (solo Granarolo ha siglato un’intesa semestrale). Un clima tesissimo sul quale si è innestata anche una querelle politica tra il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina e Gianni Fava, l’assessore della Lombardia, regione che produce il 44% del latte nazionale. Fava ha contestato l’efficacia del piano latte del Mipaaf: 108 milioni, di cui 8 per quest’anno. Il calo medio del prezzo del 20%, secondo l’assessore, non può essere contrastato con 8 milioni assegnati con la modalità del de minimis: «una trafila burocratica di sei mesi e un incasso di 15mila euro». Ma Martina ha replicato confermando «il lavoro serio a tutela di un settore strategico che dovrà affrontare nei prossimi mesi un passaggio decisivo come quello della fine delle quote latte. I 108 milioni sono un primo impegno preciso con un obiettivo chiaro che è quello di sostenere il miglioramento qualitativo del prodotto. Un intervento che fa parte di un quadro più ampio di azioni che puntano sull’etichettatura, sull’educazione alimentare e sul sostegno ai grandi formaggi italiani». Quanto alla proposta alternativa annunciata dalla Lombardia, il ministro ha fatto sapere che non è ancora arrivata.
Il Sole 24 Ore – 25 gennaio 2015