dal Sole 24 Ore sanità. Allo Stato la legislazione esclusiva sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e la sicurezza alimentare; e ancora, la previdenza sociale e la tutela e la sicurezza del lavoro. Alle Regioni, la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari e sociali. La riscrittura del Titolo V della Costituzione, così come esce dalla seconda lettura della Camera che la settimana scorsa ha licenziato il Ddl Boschi che ora torna al Senato, dovrebbe potenzialmente metter fine – con l’addio al criterio della legislazione concorrente – sia alla confusione di ruoli e funzioni che tanto contenzioso ha originato sia a quel “cattivo federalismo” oggi sul banco degli imputati per l’exploit di costi e potentati locali che in almeno mezza Italia ha contribuito a generare.
Ma il condizionale è d’obbligo e non solo perché il Ddl deve ancora completare il suo complesso iter parlamentare. È tutto da dimostrare – e solo l’attuazione pratica della riforma potrà dirlo – che la separazione netta delle competenze in materie che necessariamente implicano la partecipazione di diversi livelli di governo, come quelle socio-sanitarie, sia effettivamente praticabile. Il tutto mentre lo Stato riserva a sé tre funzioni importanti: la possibilità di intervento anche nelle materie riservate alle Regioni, con la cosiddetta “clausola di supremazia”, quando sia in gioco la tutela dell’interesse nazionale; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (lettera “e” del nuovo articolo 117); la definizione, con legge, degli indicatori di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni. I costi standard, insomma, che il disegno di legge “costituzionalizza” elevandoli di rango. E imponendoli dall’alto alle Regioni, che inevitabilmente dovranno fronteggiare un nuovo centralismo sul controllo finanziario delle loro risorse.
Senza differenze tra i governi locali dove fino a oggi si è ben operato, trovando modelli di funzionamento propri e originali a sé stanti, e le amministrazioni in rosso, ancora parzialmente alle prese con i Piani di rientro. Per un Servizio sanitario nazionale sottoposto da anni a un’operazione-dimagrimento senza precedenti, riassunta nei grafici e nelle tabelle in pagina, e ora davanti alla nuova sfida di rinunciare all’incremento del Fondo sanitario nazionale 2015 per far fronte ai tagli da 2,6 miliardi imposti dalla legge di Stabilità al pianeta salute, il futuro tracciato dalla riforma della Costituzione con la revisione del federalismo resta avvolto nella nebbia.
Con buona pace del premier Matteo Renzi che dopo il secondo via libera della Camera ha annunciato «un Paese più semplice e più giusto». Entro fine mese Governo e Regioni dovrebbero incontrarsi per riempire di contenuti (il come e il quando) il capitolo tagli. Mentre i Livelli essenziali di assistenza, patata bollente necessaria ma scomoda in tempi di magra, inviati dalla ministra Lorenzin, giacciono sui tavoli regionali. Porteranno nuove cure e tecnologie ai cittadini. Ma chi li pagherà?
La riforma, soppressa la legislazione concorrente, “spacchetta” la materia sanitaria in tre competenze esclusive statali (“disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, “disposizioni generali e comuni per la sicurezza alimentare” e “tutela e sicurezza del lavoro”) e in una competenza regionale (esclusiva?) sulla “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”
Barbara Gobbi – Il Sole 24 Ore sanità – 17 marzo 2015