Dura la critica sindacale. “Sottratte funzioni e poteri a istituzioni politico-amministrative e strutture gestionali intermedie”. Bisognerebbe, invece, “puntare su interventi più specifici, puntuali e condivisi piuttosto che dissestare con una nuova governance un buon servizio sanitario regionale”.
L’attuale proposta di legge di riordino del sistema sanitario regionale della Toscana (Proposta di legge 77/2014) si configura, a giudizio delle associazioni sindacali della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, come un tentativo di aggirare la normativa vigente attraverso una architettura di governance che, “di fatto, cerca di pervenire ad una programmazione e gestione centralizzata del sistema sanitario regionale sottraendo funzioni e poteri a istituzioni politico/amministrative e strutture gestionali intermedie”. E’ la posizione, espressa in una nota, dell’Intersindacale della Toscana.
La prima critica riguarda l’istituzione della figura di un Direttore di Area Vasta. Tale figura “non ha una sua configurazione giuridica nella normativa vigente e ad essa vengono delegate funzioni che sono proprie dell’Assessore alla Sanità: programmazione, verifica, allocazione delle risorse. E’ nominato dal Presidente della Giunta sentiti Sindaci (almeno 100 per area vasta e si può immaginare la reale possibilità di incidere sulla scelta) e Rettori (uno per area vasta). Si colloca pertanto nel territorio un nuovo organo che appare sovrapposto rispetto alle due Direzioni aziendali e, nei fatti, ne condiziona l’autonomia gestionale prevista dalla legge (art. 3 D.Lgs 502/92 e s.m.i.)”.
Attraverso una costruzione barocca della governance, attacca ancora la nota, “vengono alterati i livelli di confronto politico e sindacale e la possibilità di rapporti con referenti istituzionali dotati di autonomia decisionale. Questo vale sia per i rappresentanti delle Autonomie locali sia per tutte le Organizzazioni sindacali. A chi dovremo rivolgerci per discutere dei nostri problemi: al Direttore generale dell’Azienda sanitaria, al Direttore di Area Vasta o all’Assessore regionale alla Sanità?”.
Non convincono neanche i Dipartimenti Interaziendali. Anche queste strutture, il cui responsabile è nominato non dalle direzioni aziendali competenti ma dal Direttore di Area vasta, “presentano pesanti aspetti di sostituzione ed esautorazione delle funzioni dei dipartimenti aziendali previste dall’art. 17 bis del D.Lgs 502/92 e s.m.i. e dall’art. 3 del D.Lgs 517/99. Infatti, secondo la proposta di legge i dipartimenti interaziendali intervengono sulla valutazione degli schemi organizzativi in essere, dei livelli di attività e dei risultati; formulano e propongono una programmazione finalizzata a garantire la omogeneità territoriale dei servizi, la qualità e appropriatezza delle cure, l’efficienza organizzativa e il migliore utilizzo delle risorse tecniche unitamente alla valorizzazione e allo sviluppo delle risorse umane, anche formulando proposte per l’attribuzione delle risorse economico-finanziarie”.
In sostanza, osserva l’Intersindacale, presentano una” fortissima caratterizzazione gestionale che inevitabilmente relegherà ad un ruolo marginale i dipartimenti aziendali della USL di Area vasta e quelli ad attività integrata dell’azienda ospedaliero-universitaria, gli unici a cui le leggi affidano i processi gestionali”.
Lo sviluppo della legge ha, prosegue l’analisi dell’Intersindacale, annullato il commissariamento previsto inizialmente per le Aziende ospedaliero-universitarie. Tale previsione rimane invariata per le future aziende USL. “Si viene così a creare una inaccettabile asimmetria tra le due aziende sanitarie che insistono sugli stessi territori e si dimostra, oltre ogni dubbio, su quale parte del mondo sanitario si sia deciso di affondare la mannaia. Nel periodo che intercorrerà tra la decadenza dei dirigenti delle attuali aziende USL e l’istituzione delle aziende USL di area vasta, nelle ex-aziende USL entreranno in funzione dei vicecommissari. L’Azienda territoriale si troverà per un lungo periodo di tempo con le attività gestionali fondamentali paralizzate o limitate”.
Per l’Intersindacale l’azienda viene privata di una figura gestionale centrale quale il direttore sanitario, indispensabile per dirigere i servizi ai fini organizzativi ed igienico-sanitari ed anche per procedere alla copertura dei posti liberi nelle dotazioni organiche mediante concorsi.” Le Aziende sanitarie, come emerge in questa fase di picco epidemiologico legato all’influenza, non possono permettersi neanche un giorno di rallentamento delle attività di programmazione e gestione, tanto meno un ulteriore blocco del turn over, in una situazione di significativa carenza di quei medici ospedalieri su cui grava l’onere di far girare l’assistenza 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. In tale contesto, inaccettabile è il taglio lineare del personale, quasi una rottamazione di massa che pensa di mantenere elevati standard di servizio riducendo le risorse umane e peggiorandone le condizioni di lavoro. La volontà di dichiarare 800 esuberi tra i dipendenti del SSR è preoccupante, anche perché la normativa attuale prevede l’impossibilità di sostituire i pensionamenti, più o meno coatti, per un periodo di due anni”.
Conseguenza sarebbe quindi che tutto il personale precario che lavora nel sistema vedrebbe drammaticamente allontanarsi ogni possibilità di stabilizzazione. “La sciagurata riduzione dei posti letto legata a grossolani errori di programmazione, un territorio ancora incapace di esprimere la tanto attesa efficienza assistenziale, la crisi conseguente dei Pronto Soccorso (primo capro espiatorio di tutti i tagli), la difficile e discussa applicazione del modello di Ospedale per Intensità di Cure, hanno contribuito a creare una gravissima instabilità organizzativa che, se sommata ad un taglio ulteriore di professionisti tanto radicale, porterà il sistema al default. Prima di smantellare l’attuale sistema sanitario, uno dei migliori in Italia in termini di efficienza ed esiti, si potevano mettere in campo progetti specifici di riorganizzazione e lotta agli sprechi miranti a recuperare risorse da reinvestire nel sistema. L’eliminazione dei doppioni, la riorganizzazione della rete ospedaliera, la razionalizzazione dei servizi territoriali, sono tutte azioni che possono essere attuate, con la regia della Direzione generale dell’Assessorato, da subito, azienda per azienda, struttura per struttura”.
Ulteriore fonte di conflitti di competenze viene considerata anche la costituzione di un dipartimento della medicina generale quando la normativa vigente (art. 3/sexies del D.Lgs 502/92 e s.m.i.) prevede che le deleghe gestionali per garantire l’accesso della popolazione ai servizi territoriali, l’integrazione delle strutture e la continuità assistenziale siano assegnate dal Direttore generale ad un Direttore di distretto. “Si arriva, addirittura, al nonsenso prevedendo la costituzione di un dipartimento medico per intensità di cura, dimenticando che, se si abbraccia questa filosofia, tutto l’ospedale dovrebbe essere organizzato per intensità di cura e non un solo dipartimento”.
Il problema, segnalato dall’Intersindacale, è che “il gigantismo istituzionale non può rappresentare una scorciatoia per risolvere i deficit organizzativi e di governo del sistema sanitario. Le esperienze finora realizzate in Italia ed all’estero non sono positive, né sul piano dei costi, né sull’organizzazione del lavoro clinico”. Il rischio paventato è che “il collocamento del governo e della gestione delle strutture sanitarie in luoghi eccessivamente lontani dai territori dove nascono i bisogni dei cittadini e si esercita la professione porti ad un eccesso di pianificazione e ad una burocratizzazione dell’intero sistema, affidando le scelte di fondo di allocazione delle risorse a tecnocrati di nomina regionale e a poteri forti autoreferenziali”.
L’Area vasta si caratterizza, infatti, quale espressione di una nuova logica di programmazione. “Questa non rappresenta più il mezzo che garantisce il diritto alla salute interpretando la specificità dei territori, i bisogni dei cittadini e le aspettative dei professionisti, ma diventa l’imposizione di una offerta di sanità che viene inevitabilmente rivista al ribasso dal punto di vista del finanziamento perché la Regione Toscana ha deciso di far pagare al settore sanitario tutti i risparmi di spesa richiesti dal Governo centrale, mentre altre Regioni scelgono strade più equilibrate. Il fine ultimo del riordino è quello di garantire omogeneità non dei risultati di salute ma soprattutto dei costi”.
Per controllare al meglio le spese si preferisce, invece, “accentrare ed omogeneizzare la realtà sanitaria attraverso una programmazione verticistica ed autoritaria. Se il fine ultimo è quello di garantire la sostenibilità del servizio sanitario pubblico, forse altri interventi più specifici, puntuali e condivisi sarebbero necessari, piuttosto che dissestare con una nuova governance un buon servizio sanitario regionale. Recuperando, innanzitutto, il valore del lavoro, delle competenze professionali e dell’assistenza che fanno la differenza tra la vita e la morte, tra la salute e la malattia, se – conclude la nota – si vuole realmente continuare a mantenere il diritto dei cittadini alla salute ed alla sicurezza delle cure attraverso le competenze di chi è chiamato a garantirne la esigibilità”.
QS – 2 febbraio 2015