La Ue boccia ancora le normative italiane ma questa volta il governo rischia di fare il botto. Sotto accusa l’abuso di contratti a tempo determinato. Contratti che ad esempio per gli insegnanti possono andare avanti anche per oltre dieci anni mentre il limite massimo per la loro reiterazione dovrebbe essere tre anni. È l’Anief, associazione sindacale che si occupa dei tanti ricorsi avanzati dai precari in Europa, ad evidenziare come due diversi provvedimenti emessi dalla Corte di Giustizia Europea il 12 dicembre scorso mettano già con le spalle al muro il governo. I giudici di Lussemburgo bocciano la legislazione italiana sull’abuso di contratti flessibili nella Pubblica amministrazione. Si parla di cifre enormi: 133mila dipendenti nella scuola, 30mila nella sanità e circa 80mila tra Regioni ed enti locali.
Tutti dovrebbero essere assunti perché precari da troppo tempo in base alla direttiva europea del 2001 recepita ma evidentemente mai rispettata dall’Italia.
In attesa della sentenza complessiva sulla compatibilità della normativa italiana con quella Ue che la Corte di Giustizia Europea dovrebbe emettere entro il primo semestre di quest’anno nelle due ordinanze emesse in dicembre, sottolinea l’Anief, è già chiaro l’orientamento alla totale bocciatura da parte di Lussemburgo. La prima ordinanza, la Carratù riferita ad una serie di processi in corso di Poste italiane, in sostanza stabilisce che lo Stato non può comportarsi come un’impresa privata e deve attenersi al decreto legislativo n.368 del 2001, l’attuazione della direttiva Ue che disciplina appunto il lavoro a termine e non alle norme successive approvate, osserva la Corte, proprio per aggirare la direttiva europea. La seconda ordinanza, la Papalia, giudica le «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» contenute nel decreto legislativo 30 marzo 2001 n.165 rilevandone l’inadeguatezza a prevenire gli abusi nella successione dei contratti a termine nel pubblico impiego. Entrambe le ordinanze anche se riferite a casi particolari sono però applicabili a tutto il settore del precariato pubblico secondo l’Anief, dunque si profila all’orizzonte una procedura di infrazione per il nostro governo che comporterebbe anche una pesantissima multa, da 8 a 10 milioni di euro, oltre all’obbligo ad assorbire tutti i precari.
«La sentenza Papalia riguarda il Comune di Aosta ma può per analogia essere sicuramente estesa a tutto il territorio nazionale – dice Marcello Pacifico presidente Anief e segretario organizzativo Confedir -. Semplicemente perché il caso esaminato è equiparabile a quello dei 250mila dipendenti storici della Pubblica amministrazione che hanno già svolto almeno 36 mesi di servizio» Il Giornale
La legislazione italiana sui contratti flessibili della Pa finisce nel mirino della Corte di Giustizia europea, che a dicembre ha deliberato due provvedimenti (una ordinanza ed una sentenza) che potrebbero mettere in discussione tre lustri di provvedimenti tampone per risparmiare sulle spese del personale pubblico. E, secondo i sindacati, costringere l’Italia a rivedere in fretta la normativa interna sui precari pubblici ma soprattutto aprire la strada all’assunzione a tempo indeterminato di oltre 230mila stabilizzazioni tra scuola (oltre 130mila unità), Sanità (30mila) ed Autonomie (80mila).
Violata la Direttiva 70/1999 sul lavoro pubblico temporaneo
Precari spesso “storici”, spiegano, assunti in violazione della Direttiva 1999/70/CE sui paletti al lavoro determinato nel pubblico impiego. Secondo i principi della giurisprudenza comunitari, l’ordinanza Papalia (causa C-50/13) e la sentenza Carratù (Causa C-361/12), entrambe del 12 dicembre scorso, sono decisioni su casi specifici (un maestro “a tempo” della banda municipale contro il Comune di Aosta, un dipendente temporaneo vs Poste Italiane), che si riflettono però sui casi simili, anche in termini di applicazione da parte dello Stato edella giustizia italiana.
Cgil: Italia obbligata ad una «revisione epocale» delle norme sui precari
Nel primo caso, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato «l’illegittimità della legislazione italiana in materia di precariato pubblico, accertando che l’Italia e la normativa interna non riconoscono e non garantiscono ai lavoratori pubblici precari le tutele e le garanzie previste dal legislatore europeo». Sotto accusa, in particolare, la norma italiana che – nel caso di utilizzo abusivo da parte del datore di lavoro pubblico di una serie di contratti a tempo determinato – preveda per il lavoratore danneggiato solo il diritto di chiedere un risarcimento del danno subito previa la (difficilissima) dimostrazione di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di lavoro, e senza possibilità di trasformazione del lavoro precario in lavoro stabile. Secondo la Cgil, che sottolinea la rilevanza dei risvolti della sentenza «sia nei confronti della tutela dei lavoratori a tempo determinato, sia nei confronti della giurisprudenza resa sul punto dalla Corte di Cassazione», un’indicazione netta all’Italia per «una revisione epocale» della normativa di riferimento.
Poste Italiane società pubblica e non privata
Censura gli abusi della nostra normativa interna anche la sentenza con cui la Corte di Lussemburgo ha bocciato la sanzione introdotta dalla legge n. 183/2010 (legge delega su lavoro e occupazione) con effetti retroattivi sui processi in corso di Poste italiane: confermando la tesi del Tribunale di Napoli, la Corte Ue ha stabilito infatti che la Direttiva comunitaria sul lavoro precario può essere applicata anche a Poste italiane, da considerare una società pubblica e non una impresa privata. E che allo Stato si applica soltanto il Dlgs n. 368/2001 (che ha recepito nel nostro ordinamento nazionale la Direttiva 1999/70/CE) e non le norme successive approvate dal Legislatore italiano per aggirare di fatto la sua adozione.
Pacifico (Anief) contro le norme estive del Governo sui bandi riservatiai precari
Per Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, le due pornunce dovrebbero indurre il Governo italiano a rivedere radicalmente la propria linea, dopo aver concesso questa estate alle amministrazioni pubbliche la possibilità di bandire concorsi con riserva di posti (massimo il 50%) per chi, alla data di pubblicazione del bando, abbia maturato almeno tre anni di contratti a termine negli ultimi dieci anni. «Un tentativo del tutto inutile, secondo Pacifico, di sfuggire alle perentorie regole comunitarie», destinato ad infrangersi di fronte alle espressioni dei tribunali di giustizia, «i quali stanno ripetutamente confermando che le ragioni finanziarie non possono essere assunte come giustificazioni per aggirare le norme sovranazionali». Pacifico conclude bocciando i concorsi riservati indetti dal Governo: «non hanno alcun senso: semplicemente perché lavoratori precari “storici” non debbono essere più sottoposti ad alcuna nuova selezione. Hanno i titoli per essere assunti nei ruoli dello Stato. Quello stesso Stato che non può utilizzarli a suo piacimento, quando ne ha bisogno, licenziarli e poi richiamarli per un numero imprecisato di volte». Il Sole 24 Ore
7 gennaio 2014