La piccola Victoria è sgattaiolata fuori casa, sfuggendo al controllo del nonno. È uscita ed è andata incontro ai due pitbull «red noise» del papà, che non era lì, stava in Germania per lavoro. E poi l’ aggressione, i morsi violenti che hanno ridotto a brandelli la maglietta a righe bianche e rosse della bimba, morta sbranata a soli 14 mesi. Inutili gli spari dei carabinieri che hanno ucciso i due cani, che impedivano l’ accesso dei soccorsi nel giardino. E il giorno dopo la tragedia avvenuta domenica sera a Flero, in provincia di Brescia, tanti a dire che era «una tragedia annunciata».
Colpa dei cani, di una razza fino a pochi anni fa inserita nell’ elenco delle 17 più pericolose? Colpa di come quei cani erano stati addestrati (obbedivano pare solo al padrone, il padre di Victoria) e delle condizioni in cui vivevano, in venti metri quadri di cortile? «Sicuramente era una situazione complessa, difficile, che rischiava di generare, come di fatto è accaduto», commenta Livio Guerra, educatore cinofilo veronese. Tuttavia, al di là dell’ educazione e delle condizioni nelle quali vivono, con i cani c’ è una regola, che vale sempre: «Mai lasciare i bambini soli con i cani, con qualsiasi razza di cane», sottolinea Guerra. «I bimbi», spiega, «interagiscono con i ‘quattro zampe’ a modo loro, spesso in malo modo. I cani a loro volta regolano il comportamento del bimbo come farebbero con un loro cucciolo, ringhiando». E se un cucciolo questa reazione la capisce e di conseguenza si ferma, un bimbo non ha gli strumenti per intuirne il significato. E non si ferma. E la conseguenza possono essere morsi, anche violenti. Morsi che possono trasformarsi in tragedia. Ma una cosa è certa, secondo Guerra: «Un cane i segnali li dà». Si tratta di capirli. E una bimba di 14 mesi non ha gli strumenti per farlo.
LA QUESTIONE DELLA RAZZA. Insomma, il nocciolo della questione è la relazione tra cani e bimbi, «la razza», continua l’ educatore, «incide fino a un certo punto. Conta come vengono educati alla convivenza reciproca, che non significa obbedienza ma relazione e collaborazione. E poi il cane deve avere i suoi spazi dei quali si sente padrone, così come dei suoi oggetti. Se il bambino li viola, il cane dà dei segnali. E se il comportamento del bimbo è eccessivo, l’ adulto deve subito intervenire». Succede così con tutte le razze, sottolinea Guerra. Poi è ovvio, il morso di un pitbull non è paragonabile a quello di un barboncino.
RABBIA DELLA CODACONS. Non è d’ accordo la Codacons, che su quanto accaduto nel Bresciano commenta: «Sono assolutamente indifferenti le dinamiche che hanno causato l’ aggressione di Flero, perché è indubbio che esistano razze di cani potenzialmente pericolosi per l’ uomo. Indipendentemente dall’ educazione che si dà al proprio animale, è universalmente riconosciuto che alcune specie, come i pitbull o i rottweiler, per le loro caratteristiche proprie possono provocare ferite letali in caso di morsicatura». Diversa è la posizione di Aidaa, l’ associazione italiana difesa di animali e ambiente: «Non possiamo non rilevare l’ inutile crudeltà dell’ aver voluto abbattere i cani che hanno fatto solo ed esclusivamente quanto è nella loro natura, speriamo che siano accertate con severità le responsabilità umane in questa tragedia e una volta accertate siano punite con rigore».
C’era una volta la lista delle 17 razze pericolose
La «Lista delle razze pericolose», l’elenco di razze canine che era stato redatto nel 2006 a firma dell’allora ministro Livia Turco. L’ordinanza prevedeva misure severe per i cani appartenenti a incroci o razze a rischio di maggiore aggressività: durante ogni passeggiata avrebbero dovuto infatti indossare sia la museruola che il guinzaglio. Dal 2008 però questa lista è sparita. Nel luglio del 2016 il ministero delta Salute ha quindi dettato nuove regole. Tra queste, i proprietari dei cani non possono essere infermi di mente, minorenni ne condannati; il proprietario, obbligato a raccogliere le feci del proprio cane, deve sempre utilizzare il guinzaglio a una misura non superiore a 1,50 metri. Inoltre i comuni e i servizi veterinari delle Asl possono organizzare percorsi formativi per i proprietari di cani: a chi partecipa sarà rilasciato un «patentino». I veterinari devono segnalare all’AsI cani che richiedono una valutazione comportamentale in quanto “impegnativi”. In caso di episodi di aggressione il veterinario può imporre a un proprietario l’obbligo di svolgere un percorso formativo con il suo cane.
fonte: L’Arena – il giornale di Verona – 19 settembre 2017