Il futuro della Rai si va definendo ogni giorno di più. Molto materiale si trova sulla scrivania del sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli che fa parte con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Luca Lotti, e il sottosegretario all’Economia, Giovanni Legnini, di una «troika» incaricata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi di immaginare la nuova Rai.
A partire dal canone. L’evasione italiana, 26% degli abbonati, è un unicum in Europa e toglie tra i 500 e i 600 milioni annui alla Rai. Il governo ha deciso di combattere il fenomeno immaginando tre ipotesi entro il 2014. Canone collegato all’utenza elettrica, come in Francia. Canone coordinato con la residenza. Canone rapportato alla capacità di spesa, con un meccanismo innovativo che abolisca l’imposta uguale per tutti: più alta per chi spende di più, più bassa per esempio per i pensionati. Soluzione alla quale lavora Giacomelli.
Il dossier Rai è al centro degli interessi del governo, dopo la richiesta di 150 milioni a viale Mazzini col decreto Irpef. In quanto alla vendita di Rai Way, Mediobanca ha valutato il valore delle Reti in un miliardo di euro. Collocando in borsa un terzo della proprietà, Rai incasserebbe 300 milioni. Nel giro di poche settimane (la data dev’essere fissata) partirà l’attesa consultazione pubblica on line e sulle diverse piattaforme che durerà 60 giorni, sul modello dei quesiti posti ogni dieci anni da Bbc ai suoi utenti. Il governo metterà a punto le domande e raccoglierà le risposte: basterà registrarsi (l’uso del codice fiscale impedirà un doppio voto) per partecipare a questo inedito referendum sulla tv pubblica. Renzi ha in mente dai tempi della prima Leopolda (novembre 2010) una tv pubblica slegata dalla pubblicità: come i due canali Bbc, che affidano solo a Channel 4 il confronto col mercato, rappresentando un volano per l’industria audiovisiva. È prevedibile che si punti ad almeno una rete senza pubblicità.
Saranno domande semplici e chiare: quante reti Rai volete senza pubblicità? Quante testate giornalistiche? Quali contenuti vi aspettate? E così via. Raccolto il materiale, la seconda fase sarà l’ascolto degli addetti ai lavori: operatori televisivi, industri, autori, mondo della pubblicità. E così, entro la fine dell’anno, il governo presenterà una riforma. A partire dalla governance, dove prende quota l’ipotesi di affidare a un trust nominato dal Quirinale su una lista presentata dal governo, e formata da personaggi slegati da partiti e appartenenze, il compito di nominare un amministratore unico e di stendere ogni anno un rapporto sullo stato del Servizio pubblico. In quanto alla commissione di Vigilanza Rai (per Giacomelli c’è l’anomalia di un «doppio consiglio di amministrazione») ne verrebbe rivisto il ruolo e il potere.
Altro nodo è come far rientrare la creatività e l’invenzione di format nella «fabbrica Rai». Ora tutto (intrattenimento, show, grandi eventi) è affidato a grandi produttori esterni. Il ritorno alla «tv del maestro Manzi» (espressione cara a Matteo Renzi) prevede anche il ripristino della Rai come industria culturale e ideativa. E visto che si parla di Manzi, sta a cuore al governo anche un progetto di nuova alfabetizzazione per insegnare a tutti gli italiani, anche agli anziani, come usare la Rete. Un «Non è mai troppo tardi» dei tempi on line.
Migliorati i rapporti con l’attuale vertice Rai, dopo che il direttore generale Luigi Gubitosi ha annunciato il probabile accorpamento dei canali digitali ma e una revisione dell’informazione: «Dire che tutte le testate devono rimanere così come sono è uno spreco di risorse». Lunedì 23, a via Teulada, incontro-seminario organizzato da Luigi De Siervo, segretario dell’Adrai, l’associazione dei dirigenti Rai: «100 parole per il futuro, 100 parole per dire Rai» ospiterà personalità del giornalismo, della cultura, della scienza, pensatori, sociologi che illustreranno al «popolo Rai» la loro opinione sulla tv pubblica.
Paolo Conti – Il Corriere della Sera – 19 giugno 2014