Sono le Chirurgie a perdere il maggior numero di letti (927 su un totale di 2010 da tagliare) nell’ambito della riorganizzazione della sanità programmata dalle schede ospedaliere da qui al 2015. Le Medicine perdono 478 letti. Per portarle in giunta l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, deve aspettare di vedere se le modifiche apportate al piano sociosanitario dal consiglio regionale (che ha ricondotto in capo al parlamentino di Palazzo Balbi la nomina del direttore generale alla Sanità e reso obbligatorio ma non vincolante il parere della V commissione sulle schede ospedaliere) facciano decadere o meno l’impugnativa del governo. Intanto però il «quadro generale» delle schede ospedaliere.
Cioè la bozza di programmazione da qui al 2015 elaborata dai tecnici e che poi l’aula potrà modificare, fissa un doppio obiettivo: il calo dei posti letto e la riduzione dei primariati.
I posti letto passeranno da 19.010 letti a 17 mila, con un taglio di 2010 (1701 per acuti e 309 di riabilitazione, dirottati sul territorio) in realtà già avvenuto per metà, e la riduzione dei primariati da 863 a 706. Il che significa non riconfermarne 157: a perderne di più sono Verona (-39), Venezia (-33) e Padova (-30). Quanto ai letti, il sacrificio superiore tocca ancora a Verona (-485) e Padova (-424), insieme a Rovigo (-269), province che il piano sociosanitario indica infatti come quelle «con il maggior rapporto posti letto-abitanti».
La scure, per tutti gli ospedali veneti, si abbatte in modo particolare sulle chirurgie, che perdono 927 letti, perchè ormai i progressi della medicina consentono di eseguire diversi interventi in regime di Day-Surgery o ambulatoriale. Di conseguenza, ma anche in virtù della nascita di reti specializzate con dotazione propria come le «Stroke Unit» per l’ictus, spariscono 68 letti di terapia intensiva. Ognuno costa al sistema circa 1500 euro al giorno. L’area medica deve invece rinunciare a 478 posti: i degenti sono per la maggioranza anziani, destinati allora all’assistenza territoriale, a domicilio o in strutture di riabilitazione. Altri 221 letti li perde l’area materno-infantile e 7 i Servizi di diagnosi e cura. Del resto, recita il piano, «il numero dei pazienti dimessi è in progressiva diminuzione dal 2001», arrivando a toccare un -20% nei ricoveri ordinari e un -21% nel totale delle giornate di degenza.
«La riduzione più drastica — si legge — si è verificata in Medicina generale, ma riduzioni consistenti emergono anche nell’area materno-infantile, in Neurologia, Malattie infettive, Chirurgia generale, Ortopedia e Otorinolaringoiatria». Il tasso di ospedalizzazione è sceso da 174 ricoveri per mille abitanti del 2006 a 154/148 per mille di oggi, ma le schede vanno oltre e puntano, ogni mille abitanti, a 3 letti per acuti, 0,5 di riabilitazione e 1,2 di strutture intermedie, dedicate cioè ai pazienti dimessi perchè non più in fase acuta ma non ancora in grado di tornare a casa. L’intento è di riservare all’ospedale gli acuti e il 44% delle risorse, percentuale che sale al 51% per il territorio e passa al 5% per la prevenzione. La revisione della rete prevede inoltre la suddivisione in: presidi «hub», cioè quelli capoluogo a vocazione provinciale e con bacino di un milione di abitanti, con le Aziende ospedaliere di Padova e Verona centri di riferimento regionale per alcune funzioni (come ustioni, trapianti, emergenza neonatale, chirurgia oncologica); «spoke», con bacino di 200 mila utenti, specialità di base e media complessità; nodi della rete integrativi, anche monospecialistici.
Verona, via i letti ma non le strutture. Camposampiero è centro ortopedico
Difficile toccare il Veronese, l’area più inflazionata di ospedali ma sulla quale insiste «Sua Sanità» Flavio Tosi. E infatti le schede salvano 9 strutture su 11. C’è scritto «dismesso» solo accanto a Caprino, che però è già stato convertito in poliambulatorio e tale resta, e a Zevio, i cui 80 posti di riabilitazione difficilmente spariranno. Restano, accanto all’Azienda ospedaliera universitaria integrata del capoluogo, i poli di San Bonifacio, Legnago, Bussolengo-Villafranca (tutti presidi di rete), Marzana e Malcesine (nodi di rete, il primo riabilitativo il secondo centro nazionale per la poliomelite), Bovolone, Isola della Scala e Valeggio, che sopravvivono nonostante l’azzeramento dei letti. I primi due come «strutture a vocazione territoriale», l’ultimo in qualità di Centro regionale di simulazione e formazione avanzata.
Passando a Padova, affiancano l’Azienda ospedaliera e il Sant’Antonio (polo unico di rete su due sedi, con Piove di Sacco, e centro di attività medica e chirurgica), i presidi di Camposampiero, che diventa Centro traumatologico ortopedico di riferimento sovraprovinciale, Cittadella (medicina, chirurgia diurna e riabilitazione), Piove di Sacco (medicina, chirurgia di week surgery, diurna, ambulatoriale e riabilitazione), Este-Monselice (ospedale di rete), Montagnana (nodo di rete riabilitativo) e l’Istituto oncologico veneto. E’ dato per «dismesso» Conselve (riabilitazione), ma bisognerà vedere. Le schede indicano infine la necessità di «individuare una struttura a cui assegnare la funzione di polo riabilitativo a valenza provinciale, con una dotazione di 40 posti letto, provvisoriamente assegnati all’Usl 16». E qui il pensiero va all’Opera immacolata concezione di Angelo Ferro, già sede della struttura intermedia gestita appunto dall’Usl 16, che ha annunciato l’intenzione di chiedere alla Regione di aumentare gli attuali 60 letti, proprio per ospitare pazienti di tutte le età.
Guarda la tabella – come cambiano gli ospedali veneti
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 8 dicembre 2012