Dice che quando ha ricevuto la busta paga di dicembre si è «sinceramente vergognato». Il netto a pagare, in effetti, è di quelli che possono scatenare un lieve rossore: 11.586 euro. Netti. Jacopo Berti, capogruppo in Regione del Movimento Cinque Stelle, dev’essere rimasto tra gli ultimi che ancora si stupiscono, visto che gli stipendi dei consiglieri regionali (come quelli dei parlamentari, dei deputati siciliani o dei presidenti delle Province autonome, dei grandi burocrati di Stato, di alcune alte magistrature) sono ormai considerati dalla maggior parte dei cittadini come «un male necessario» della democrazia, che manco le più feroci sollevazioni di piazza riescono a scalfire.
Tant’è, le sue parole al Giornale di Vicenza , lunedì («Ho trovato quella cifra un insulto ai primari, ai professori universitari, ai ricercatori, ai ragazzi che provano ad entrare nel mondo del lavoro, che devono emigrare… Questo non è un Paese normale») hanno scatenato un putiferio a Palazzo Ferro Fini, dove ovviamente nessun eletto intende passare agli occhi dei suoi elettori per quello che s’intasca l’assegno monstre al mattino e poi va in tivù a pontificare sulla crisi, la disoccupazione e le famiglie in ginocchio la sera. Ad alzare la contraerea è stata soprattutto la maggioranza (ma l’intervista del pentastellato è stata letta con una certa insofferenza anche nel Pd), col presidente dell’assemblea Roberto Ciambetti prima e gli speaker della Lega e della Lista Zaia Nicola Finco e Silvia Rizzotto poi. «Sono rimasto sgomento – ha detto Ciambetti sempre al Giornale –. Se quella fosse la cifra di una mensilità normale ci sarebbe davvero da essere perplessi. Ma non è così. Quella cifra è frutto del suo stipendio a cui va aggiunto il conguaglio dell’Irpef: tra giugno, quando si è insediato, e novembre, ha versato più di quanto doveva e gli è stato restituito. E non è stato l’unico». Subito Finco e Rizzotto hanno picchiato in sincrono: «O Berti prende in giro i cittadini oppure è un incompetente, vorrebbe governare ma non sa neanche leggere la busta paga». Già, perché in effetti Berti s’è sbagliato e ha finito per fare conto tondo: tolto il conguaglio dell’Irpef lo stipendio del consigliere regionale non è di 11 mila euro netti ma di poco più di 8 mila. Meno male.
Dopo la campagna contro i costi della politica del 2012, nata come reazione dell’opinione pubblica ai sacrifici imposti ai «comuni mortali» dal governo Monti, la busta paga dei consiglieri è infatti così composta: 6.600 euro lordi di indennità di carica (uguale per tutti), dai 2.100 ai 2.700 euro lordi di indennità di funzione (dai vice presidenti di commissione al governatore), una diaria esentasse di 4.500 euro. Le trattenute sono poca roba: 1.299 euro di contributo per poi avere il vitalizio, 45 euro al giorno se si usano auto e motoscafi blu, 60 euro per ogni assenza dalle sedute del consiglio o delle commissioni più altri 40 se non si partecipa ad almeno 2 (2!) votazioni su 10. Con effetti talvolta paradossali, come quello per cui il presidente della Regione Luca Zaia guadagna 300 euro in meno di alcuni misconosciuti consiglieri semplici (ultimo dato disponibile relativo al mese di novembre). «La polemica di Finco e Rizzotto dimostra quanto siano lontani dai problemi della gente comune – replica Berti -. Ai cittadini non importa delle loro giustificazioni su “come” si sia arrivati a 11 mila e 500 euro di stipendio, come se prendere 9 mila euro al mese fosse meno grave. Ai veneti interessa che dalle parole si passi ai fatti. Per questo li aspettiamo alla prova dei fatti, insieme agli altri consiglieri di maggioranza e minoranza, quando sarà il momento di votare la nostra “legge anticasta” per la diminuzione di tutti gli stipendi e l’abolizione dei vitalizi. Un risparmio di 83 milioni per i veneti. Come voteranno Finco, Rizzotto? Potrebbero già prendere un impegno pubblico al riguardo…».
I capigruppo della Lega e della Lista Zaia lo rimbrottano: «Berti vuole restituire ciò che ritiene eccessivo o non meritato? Non occorrono proclami, dal 2007 c’è un apposito capitolo di bilancio in cui i consiglieri possono versare ciò che vogliono». Insomma, «vuole restituire i soldi? Fatti suoi. Ma lo faccia in silenzio perché la beneficienza sbandierata è solo scena». Anche qui, però, l’alfiere dei Cinque Stelle ha gioco piuttosto facile a controbattere, perché il capitolo di bilancio in questione, voluto dall’allora consigliere indipendentista Mariangelo Foggiato, dal 2010 (anno in cui fu svuotato per contribuire alla raccolta fondi post alluvione) recita un mesto zero-virgola-zero , mentre dal giorno della loro elezione i consiglieri di Grillo hanno già rinunciato a 52 mila euro, donati alla vigilia di Natale ai Comuni della Riviera del Brenta colpiti dal Tornado. «Noi ci teniamo 5 mila euro lordi al mese, più qualche centinaio di euro per i rimborsi spese rendicontati sul blog di Beppe. Tutto il resto finisce nel conto in Banca Etica», spiega Berti.
Demagogia pura, insistono i suoi colleghi, ricordando le spese che sono costretti a sostenere ogni mese per «fare politica sul territorio», tra uffici, collaboratori, richieste d’aiuto di questa o quella associazione e iniziative varie. Poi ci sono i debiti della campagna elettorale da saldare (quella personale costa circa 50 mila euro, i consiglieri dem devono rimborsare anche 15 mila euro a testa al Pd), ci sono i contributi mensili al partito (1.400 euro per i dem , 1.200 euro per i leghisti mentre non avendo un partito alle spalle, nulla è dovuto dai tosiani) e, nel caso degli eletti del Carroccio e della lista Zaia, va ripagata pure la campagna elettorale del governatore, che com’è noto rifiutò sponsor privati: ogni consigliere versò 3 mila euro al momento dell’ingresso in lista, più altri 20 mila dopo l’elezione. «Insomma fatti due conti, non è che ci resta poi in tasca granché», sbotta un leghista. Ma forse è meglio non dire chi.
Il Corriere del Veneto – 27 gennaio 2016