Il presidente Napolitano firma il decreto di scioglimento del Parlamento. Si voterà per Camera e Senato il 24 e il 25 febbraio. La prima seduta delle Camere è fissata per il 15 marzo.
Lo ha stabilito il governo in una riunione nella quale si è anche esaminata la questione del decreto taglia-firme incagliatosi al Senato e che dovrebbe essere approvato venerdì 28 dicembre. Si è altresì deciso che qualora ciò non avvenisse il governo sarebbe pronto a varare un provvedimento ad hoc. Non solo. Per contrastare nuovi possibili casi di spese per fini diversi da quelli della politica, come avvenuto in Lazio e Lombardia, è stato varato un decreto che contiene le linee guida per i rendiconti dei gruppi regionali. Una volta approvato, il rendiconto dovrà essere trasmesso alla sezione regionale della Corte dei conti che ne controllerà la regolarità.
Si conclude così la sedicesima legislatura, con un lieve anticipo rispetto alla scadenza naturale dovuto alla decisione del premier Monti di presentare le sue dimissioni irrevocabili (dopo il via libera della legge di stabilità che è avvenuto venerdì) provocate dalla decisione del Pdl di togliergli il sostegno. All’atto formale si arriva dopo una mattinata di consultazioni al Quirinale, dove sono saliti tutti i gruppi parlamentari, compresi quelli di recentissima costituzione. «Al capo dello Stato abbiamo rimarcato — dice Cicchitto che assieme a Gasparri ha rappresentato il Pdl — che, andando ad elezioni con un governo tecnico, questo deve mantenere nella figura del premier e dei ministri una collocazione al di fuori delle parti». Monti resti neutrale, è il messaggio chiarissimo che giunge dal Pdl. Cicchitto sottolinea, inoltre, di avere ricordato al Presidente che «il Pdl avevamo espresso dei rilievi di merito e non abbiamo presentato una sfiducia, e quindi è stato il presidente del Consiglio, nella autonomia delle sue valutazioni a trarre come conseguenza le dimissioni».
Il Pd «ha sostenuto lealmente e fino all’ultimo giorno della legislatura il governo del professor Mario Monti che va ringraziato per avere messo la sua personale credibilità al servizio del Paese ma ora la parola torna al popolo», argomenta Franceschini. Il capogruppo del Pd rileva poi che «ora si chiude la fase dei tecnici. Noi ci presentiamo agli italiani consapevoli che ora l’Italia merita una seconda fase sulla base dei duri sacrifici fatti per uscire dal baratro in cui ci aveva portati Berlusconi. Adesso il Paese merita politiche progressiste e riformiste che rispondano a una logica molto semplice: chi ha di più deve mettere di più, chi ha meno deve mettere meno».
L’Udc e il terzo Polo (Api e Fli) rivendicano «con forza il lavoro fatto» e auspicano che si prosegua nella stessa direzione. «Siamo stati determinanti e crediamo, per non vanificare gli sforzi che abbiamo chiesto agli italiani, di portare avanti il lavoro di Monti nella nuova legislatura; rimarca Galletti (Udc). Rutelli «Api) e Della Vedova (Fli) esortano il futuro esecutivo «a non tradire l’agenda Monti».
Di tutt’altro tenore i giudizi dei gruppi di opposizione. Il leghista Dozzo commenta con soddisfazione: «Le dimissioni di Monti sono una buona notizia per tutti i cittadini, specialmente sotto Natale». Il dipietrista Belisario avrebbe preferito che «il premier avesse spiegato in Parlamento le ragioni del suo gesto». E la senatrice Gallone, a nome di Fratelli d’Italia-Centrodestra nazionale (gruppo sorto da una diaspora del Pdl), avverte che «se Monti dovesse presentarsi in qualsiasi modo alle elezioni, bisognerebbe scegliere un’altra personalità per guidare questa fase di transizione».
Corriere della Sera – 23 dicembre 2012