Le ricerche sul cosiddetto supervirus, una variante del ceppo H5N1 ottenuta in laboratorio, possono essere pubblicate senza censura. Lo avrebbe affermato il comitato scientifico per la biosicurezza americano, citato dal Washington Post. La decisione (non ancora ufficiale) arriva dopo che i ricercatori autori dello studio hanno chiarito i punti richiesti del loro lavoro e fornito ulteriori informazioni al riguardo. La vicenda era cominciata dopo che al alcune riviste scientifiche era stato chiesto di non pubblicare i dettagli di studi sperimentali su un ceppo influenzale potenzialmente devastante per l’uomo realizzato in laboratorio, per scongiurare il pericolo che le informazioni potessero essere utilizzate a scopo bioterroristico.
Il National Science Advisory Board for Biosecurity , per la precisione, aveva chiesto agli editori delle riviste Nature e Science di omettere parte dei dati forniti dai due gruppi di ricerca (in Olanda e negli Usa) su un ceppo del virus H5N1 (quello dell’influenza aviaria) in grado di passare dagli animali alla specie umana.
OPINIONI DISCORDANTI – Il caso aveva avviato un accesa discussione nella comunità scientifica internazionale alla fine di novembre, quando era stata diffusa la notizia che studiosi dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam avevano prodotto una variante estremamente contagiosa del virus dell’influenza aviaria H5N1 in grado di trasmettersi facilmente a milioni di persone. Il virologo alla guida degli esperimenti, Ron Fouchier, aveva riconosciuto che la variante geneticamente modificata rappresentava uno dei virus più pericolosi mai stati prodotti.
il precedente
Il caso aveva acceso un dibattuto all’interno della comunità scientifica internazionale già alla fine di novembre, quando era stata diffusa la notizia che i ricercatori dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam avevano prodotto una variante estremamente contagiosa del virus dell’influenza aviariaH5N1 in grado di trasmettersi facilmente a milioni di persone. Gli scienziati hanno scoperto che bastano cinque modificazioni genetiche per trasformare il virus dell’influenza aviaria (che finora ha ucciso 336 persone nel mondo su 573 casi registrati, con una mortalità quindi 58,6%, dati Oms del 15 dicembre 2011) in un agente patogeno altamente contagioso che potrebbe scatenare una pandemia. Il virologo alla guida degli esperimenti, Ron Fouchier, aveva riconosciuto che la variante geneticamente modificata è uno dei virus più pericolosi che siano mai stati prodotti. Secondo alcuni scienziati, non solo i dati non vanno pubblicati, ma la ricerca stessa non andava fatta. «È solo una cattiva idea quella di trasformare un virus letale in un virus letale e altamente contagioso», ha commentato Richard Ebright, biologo molecolare della Rutgers University nel New Jersey. Pubblicare lo studio però, come sostiene lo stesso Fouchier, aiuterebbe la comunità scientifica a prepararsi a una pandemia di H5N1. Sulla stessa linea d’onda l’italiano Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università di Milano: «Non pubblicare lascerebbe i ricercatori al buio su come rispondere a un focolaio».
La nuova posizione della Nsabb
Secondo quanto dichiarato dall’ente alla fine dello scorso anno, se diffuse le ricerche sarebbero potute diventare rischiose per la salute pubblica, poiché potevano venire usate per mettere a punto un attacco bioterroristico. Non solo: i funzionari del governo statunitense ritenevano che la diffusione dei lavori, e dunque la moltiplicazione degli studi sull’argomento, avrebbe potuto aumentare le possibilità di un rilascio accidentale del virus nell’ambiente.
Ma oggi queste preoccupazioni sembrano superate. Il Board ha infatti chiesto la pubblicazione completa del paper redatto dall’Università del Wisconsin di Madison, lavoro che dovrebbe essere distribuito tramite le pagine di Nature; allo stesso modo ha chiesto che dell’altro manoscritto, quello inoltrato a Science da Ron Fouchier dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam e dal quale era inizialmente partita la polemica, sia sì pubblicato, ma non al completo, ovvero che ne vengano diffusi solo dati, metodi e conclusioni. Il primo studio si riferiva alla modifica di una proteina chiamata emoagglutinina che può rendere il virus dell’aviaria trasmissibile tra i mammiferi. “Abbiamo dimostrato che pochi cambiamenti possono trasformare la molecola che conosciamo in una proteina che supporta la trasmissione aerea tra furetti”, ha spiegatoYoshihiro Kawaoka, primo autore del manoscritto. La seconda ricerca, invece, mostrava come cinque modifiche genetiche potevano portare allo stesso risultato di aumentata trasmissibilità.
“Come principio generale la Nsabb supporta la non censura delle informazioni relative agli studi e alla ricerca, a meno che queste non pongano un rischio significativo immediato per la salute pubblica e per la sicurezza”, si legge sulla nota rilasciata dall’ente. “La diffusione dei dati contenuti negli studi in questione vede sicuramente ancora dei rischi relativi ai possibili usi illeciti, ma ci sono alcune considerazioni che hanno portato il Board a rivedere la propria posizione e il bilancio dei pro e dei contro: innanzitutto i risultati degli studi non sembrano fornire indicazioni dirette che potrebbero portare all’uso improprio delle procedure di ricerca usate, in modo che queste possano mettere immediatamente a repentaglio la salute pubblica o la sicurezza nazionale; inoltre, nuove testimonianze indicano che la comprensione delle mutazioni specifiche descritte negli studi possa migliorare la sorveglianza internazionale e dunque la sicurezza di tutti”.
La decisione della Nsabb si trova parzialmente in accordo con la posizione dell’Oms, che circa un mese fa aveva sostenuto l’importanza della pubblicazione completa di entrambi gli articoli, seppure mantenendo ancora qualche preoccupazione rispetto alla sicurezza dei laboratori in cui vengono effettuate queste ricerche.
Le nuove politiche di sicurezza
La Nsabb ha anche dichiarato come la propria decisione fosse fondata anche sulle nuove Linee Guida rilasciate dal governo statunitense a riguardo delle ricerche che possono sia essere beneficio per la salute pubblica, che mettere a rischio la sicurezza nazionale, l’agricoltura o l’ambiente. Si tratta del documento dal titolo United States Government Policy for Oversight of Life Sciences Dual Use Research of Concern, pubblicato il 29 marzo dal governo Obama, che rende obbligatorio a tutti i centri di ricerca di richiedere l’approvazione federale nel caso si vogliano studiare alcuni patogeni particolarmente pericolosi, come l’aviaria appunto, ma anche come il virus della Spagnola del 1918, l’antrace, l’Ebola o il Vaiolo.
Secondo le nuove Linee Guida statunitensi, le ricerche che vengono ritenute troppo rischiose, possono essere passibili di misure di “mitigazione”, come alcune modifiche alle modalità di ricerca, l’aumento delle precauzioni di sicurezza dei laboratori, e la decisione preventiva rispetto a come e dove pubblicarne i risultati. Misure al limite della libertà di ricerca, tanto che qualcuno già pone le prime obiezioni. Richard Ebrightdella Rutger University del New Jersey, esperto in biosicurezza che era già intervenuto nel dibattito,ha infatti definito le disposizioni come un “incredibile passo in avanti”, ma specificando che esse hanno anche un enorme tallone d’Achille: “Può andar bene l’idea di valutare preventivamente la biosicurezza di alcuni studi, come nel caso di quelli sull’H1N1 – ha detto in un commento su Nature –ma se sono solo i governi a venire informati delle ricerche e se sono loro che decidono le eventuali misure di tutela da prendere, si mette a repentaglio la ricerca indipendente e la possibilità di intervento della comunità accademica internazionale”. Insomma, una mossa che potrebbe andare contro l’idea stessa che è alla base del metodo scientifico.
Nonostante queste osservazioni e i dubbi sollevati, le nuove regole sono subito entrate in vigore negli Stati Uniti, poiché le “rules” che riguardano la sicurezza nazionale hanno un particolare stato giuridico che permette al governo di non passare dal Senato americano per entrare in vigore. Gli enti di ricerca statunitensi avranno dunque 90 giorni per dichiarare alle autorità se stanno conducendo ricerche che hanno caratteristiche che rientrano nelle nuove Linee Guida. Quel che è sicuro, per ora, è che queste regole sono applicate – seppure con tutte le riserve illustrate – per ora solo agli Stati Uniti e non risolvono il problema globale. Dunque di sicuro ci sarà da capire quali ripercussioni avranno queste decisioni e le nuove regole sulla ricerca in tutto il mondo.
Fonte: il Corriere della Sera – 1 aprile 2012