Le vacche non vanno mai in ferie. E con loro pure gli allevatori. Sì, dici stalla e pensi mungitura, pratica antica come l’uomo che si ripete almeno 2-3 volte al giorno. È uno dei mondi più antichi e apparentemente immutabili, se non fosse che tecnologia, robotizzazione e smartphone sono entrati anche qui, tra lettiere e mangiatoie.
Migliorando il benessere degli animali e la vita dei lavoratori. E promettendo di aumentare anche la qualità di quello che arriva sulla tavola dei consumatori. Perché il latte è sempre bianco e bello, ma oggi si ragiona sui controlli funzionali, sulla tracciabilità ad oggi ancora negata dalle commissioni europee. Oltre che sulle famose e per taluni famigerate quote che da aprile cadranno definitivamente, lasciando aperti, come vedremo, diversi interrogativi. Insomma, ce n’è abbastanza per farsi un giro all’Arav, l’associazione regionale degli allevatori, e pure nei 9mila metri quadrati di VicenzaAgri, due giorni organizzata all’ex Foro Boario
FARE SISTEMA. Floriano De Franceschi, presidente provinciale Arpav, e il dottor Riccardo Negrini di Aia ricordano la collaborazione congiunta, con le associazioni nazionali di razza e l’università di Padova per migliorare la genetica dei bovini e la qualità del prodotto latte. Una strada necessaria, poi però ci sono le esigenze e le paure dei singoli. Un punto, nel frattempo, si impone: quanti sono nel Veneto e nel Vicentino coloro che si occupano ancora di zootecnia? E quante le bestie? Detto che in tutto lo Stivale sono un milione e mezzo le vacche allevate, per lo più di razza Frisona, e che la media annua è di 9.400 chili di latte prodotto, nella nostra Regione sono 104mila i capi e 1.300 le aziende agricole. Zoomando ancora, le cifre, dalle Prealpi ai Berici e alla Lessinia, perlano di 420 allevatori (530 comprendendo anche chi si occupa di cavalli, ovini e altre specie) e 35mila bovini. «La fuga dalla campagna e dagli alpeggi – sottolinea Negrini – non è più una emorragia, anzi tanti giovani si stanno riavvicinando, però è tempo di passare dalla stalla al sistema». Ed a proposito del patto con i consumatori, osserva: «Migliorare la qualità della materia prima significa rendere più appetibili i prodotti. Quindi superiore sarà la richiesta e la redditività che questa genera a vantaggio della intera filiera, dalla produzione alla distribuzione». Parola d’ordine, non restare fermi.
TUTTO IN UNA APP. Contadino, scarpe grosse e cervello fino. De Franceschi, allevatore a Castelgomberto, spiega la sua rivoluzione. «Ho una cinquantina di mucche ed in pratica sono loro che vanno a mungersi. Banalizzando per essere comprensibili, loro sono animali abitudinari e gli abbiamo insegnato a raggiungere i box dove sanno che troveranno anche da mangiare. È un sistema premiante, la vacca arriva lì dove sa che troverà il cibo, poi i sensori di mungitura fanno il resto individuando anche se i quarti della mammella hanno problemi di mastite o di altro genere. In quel caso l’animale non subirà stress». Mica finita: ognuna ha infatti un collare che registra praticamente tutto, se è gravida, se c’è qualche valore sbagliato, persino le ruminazioni e quanto si muove. Cose che posso vedere con lo Smartphone (rigorosamente della ditta produttrice, però) grazie ad una App che mi da in tempo reale le informazioni, compreso quanti litri di latte sono stati prodotti da ogni capo. Sono una decina le aziende vicentine che usano questa tecnologia». Un sospiro anche per l’uomo, ma attenzione, anche se sono in arrivo robottini di tutti i tipi, anche per la pulizia dei locali (e la stalla è tale anche per gli effluvi) alla fine «comunque teghe da essare lì».
Il Giornale di Vicenza – 1 marzo 2015