La riforma previdenziale nella pubblica amministrazione non può essere utilizzata per mandare in pensione di vecchiaia tutti coloro che hanno raggiunto i 65 anni. Il Tar Lazio ha annullato uno stralcio della circolare 2 del dipartimento della Funzione pubblica nella parte in cui prevede il collocamento a riposo d’ufficio al compimento del 65esimo anno di età nei confronti di quei dipendenti che entro il 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva, o comunque dei requisiti prescritti per l’accesso a un trattamento pensionistico diverso dalla pensione di vecchiaia. Il contenuto della circolare era stato condiviso con i ministeri del Lavoro, dell’Economia e con lo stesso Inps.
Per meglio comprendere la portata della sentenza 2446/2013 è necessario riepilogare cosa è accaduto con l’entrata in vigore della riforma Monti-Fornero.
L’articolo 24 del Dl 201/2011 ha innalzato i requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione di vecchiaia nonché quelli contributivi per l’accesso alla pensione anticipata (ex anzianità) superando il sistema delle quote, delle finestre mobili e prevedendo elevate anzianità contributive (per il 2013, 41 anni e 5 mesi per le donne, +1 anno per gli uomini). Il comma 14 precisa che i requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore continuano ad applicarsi ai soggetti che maturano i requisiti entro il 2011.
Nel caso in sentenza, il ministero della Giustizia aveva collocato a riposo, per raggiunti limiti di età, un proprio dipendente che già nel 2011 aveva oltre 40 anni di contributi, dando seguito a quanto previsto dalla circolare citata. Il ricorrente sosteneva di poter permanere in servizio fino al raggiungimento del nuovo limite anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia (66 anni oltre gli incrementi legati alla speranza di vita).
I giudici amministrativi hanno ritenuto convincenti gli elementi, aderendo all’interpretazione, secondo cui, a domanda, i nuovi requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia trovano applicazione a coloro che alla data del 31 dicembre 2011 avevano maturato i requisiti per la pensione di anzianità, ma non quelli per la pensione di vecchiaia.
La sentenza prosegue affermando che va preferita l’interpretazione normativa che favorisce il prolungamento del rapporto di impiego anziché quella opposta (sostenuta dall’Amministrazione resistente) che invece “anticipa” la risoluzione.
La sentenza ammette, altresì, che il comma 14 dell’articolo 24 si presta a essere interpretato in entrambi i sensi, e che argomenti decisivi non sono traibili neppure dal comma 3 del citato articolo che prevede la certificazione del diritto acquisito su istanza del lavoratore. Gli effetti della sentenza, di fatto, inducono le Pubbliche amministrazioni a revocare in autotutela tutti quegli atti di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (di norma 65 anni) nei confronti di quei lavoratori che entro il 2011 hanno comunque maturato un diritto a pensione a qualsiasi titolo.
È da segnalare però che nel dispositivo non viene menzionato il comma 4 che prevede, per gli iscritti alle forme esclusive e sostitutive della medesima, la “incentivazione” del proseguimento dell’attività lavorativa – fermi restando i limiti ordinamentali – che nel pubblico impiego sono fissati al compimento del 65esimo anno di età (articolo 4 del Dpr 1092/1973). Inoltre, l’effetto della sentenza che in prima battuta potrebbe far pensare a una minore spesa pensionistica, tradurrà i propri effetti con un maggior assegno.
Infatti, grazie al comma 2, dal 2012, con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere da tale data, il calcolo della quota di pensione corrispondente a tali anzianità avverrà secondo il metodo di calcolo contributivo.
Motivo per cui, poiché il ricorrente alla fine del 2011 aveva un’anzianità contributiva superiore a 40 anni, maturerà ulteriori quote di pensione relativamente alle anzianità riferite al periodo gennaio 2012 – marzo 2014, data di cessazione per raggiungimento dei nuovi limiti anagrafici.
Il quadro
01 | LA SENTENZA
Il Tar Lazio con la sentenza 2446/2013 ha annullato parte della circolare 2 del 2012 del dipartimento della Funzione pubblica riguardante le regole per il pensionamento del personale
02 | LE CONSEGUENZE
A seguito della sentenza l’amministrazione pubblica non potrà più legittimamente procedere al collocamento a riposo d’ufficio del dipendente al compimento del limite ordinamentale di 65 anni, contro la volontà dello stesso, prescindendo dalla verifica del perfezionamento entro il 31 dicembre 2011 dei requisiti previgenti la riforma Monti-Fornero per accedere alla pensione di anzianità.
Inoltre viene riconosciuto il diritto del ricorrente a rimanere in servizio fino al compimento del limite di età di 66 anni per accedere al trattamento di vecchiaia previsto dall’articolo 24 del decreto legge 201/2011
03 | IL CONTESTO
La sentenza si pone in palese contrasto con gli ultimi pareri della Funzione Pubblica 13264/2013 e 15888/2013 che richiamano le Amministrazioni all’obbligo di risolvere il rapporto di lavoro al compimento del limite ordinamentale di 65 anni di età (salvo l’eventuale biennio di trattenimento di cui al decreto legislativo 503/1992).
Si determina, inoltre, il pericolo di contenziosi per le decisioni assunte finora dalle varie pubbliche amministrazioni.
L’incertezza normativa, peraltro, incide anche sulla programmazione del personale e sulle previsioni di spesa determinate dallo stesso. (Il Sole 24 Ore – Fabio Venanzi)
Il Tar Lazio ha ribaltato l’orientamento della Funzione pubblica sulla legge Fornero
Gli statali possono restare in servizio fino a 70 anni. I dipendenti pubblici, a domanda, possono restare in servizio fino ai 70 anni d’età per migliorare la pensione. L’amministrazione, infatti, non deve e non può collocare a riposo i lavoratori che abbiano raggiunti i limiti d’età per la permanenza in servizio fissato a 65 anni (c.d.limite ordinamentale).
Lo ha stabilito il Tar Lazio nella sentenza n. 2446/13, ribaltando l’indirizzo interpretativo della riforma Fornero della pensioni per il settore pubblico e annullando la circolare n.2/2012 dell’allora ministro per la p.a. Filippo Patroni Griffi, condivisa con ministero del lavoro, ministero dell’economia e Inps (su ItaliaOggi del 9 marzo 2012).La pronuncia decide il ricorso di un direttore generale dell’amministrazione penitenziaria, collocato a riposo dal 1° gennaio 2013 per raggiunti limiti d’età, avendo compiuto 65 anni a dicembre 2012. Il dirigente invece avrebbe preferito restare a lavoro un altro anno, fino ai 66 anni d’età fissati quale requisito (età) per la pensione di vecchiaia.
La questione è decisa con una diversa interpretazione della deroga prevista dalla riforma Fornero, la quale stabilisce che la vecchia disciplina continua a valere per i soggetti che maturano i requisiti di pensione entro il 31 dicembre 2011 (comma 14, dell’art.24, del dl n.201/2011).
Da tale deroga la circolare n. 2/2012 aveva tratto un vincolo per le p.a.: l’obbligo di collocare a riposo a partire dal 2012, al compimento di 65 anni (limite ordinamentale), i dipendenti che nel 2011 erano in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per una pensione; ciò in quanto la riforma Fornero non ha modificato il regime della permanenza in servizio, con la conseguenza di continuare a costituire il tetto massimo di servizio fino a garantire la decorrenza della pensione, ma mai oltre.
Ma per il Tar quella deroga non dice esattamente questo; anzi, afferma il contrario. Per arrivare alle proprie conclusioni, il tribunale prende in esame e confronta la predetta deroga (comma 14 dell’art. 24 del dl n.201/2011) con un’altra deroga, cioè quella che consente al lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e anzianità previsti dalla normativa previgente la riforma Fornero di avere la pensione sulla base della vecchie norme potendone richiedere anche la certificazione del diritto (comma 3, dell’art.24, del dl n.201/2011).
Secondo il Tar, mentre quest’ultima deroga (comma 3) configura un diritto soggettivo dei lavoratori, l’altra deroga (comma 14) stabilisce gli effetti temporali della riforma, a prescindere dalla volontà del lavoratore.
La prima (comma 3) è una salvaguardia che rende, a domanda, inopponibile al lavoratore tutta la riforma della pensioni; la seconda (comma 14) si presta a due letture.
La prima lettura, seguita dalla circolare n.2/2012, è quella per cui il legislatore ha voluto stabilire che, l’aver maturato al 31 dicembre 2011 il diritto a una pensione (nel caso della sentenza: la pensione di anzianità), rende inapplicabili i nuovi requisiti per l’altra pensione previsti dalla riforma Fornero (nel caso della sentenza: la pensione di vecchiaia, quindi la permanenza in servizio fino a 66 anni di età).
La seconda lettura, seguita dal Tar, vuole invece l’inapplicabilità dei nuovi requisiti di pensione introdotti dalla riforma Fornero nei confronti dei lavoratori che, al 31 dicembre 2011, hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia «e» quelli per la pensione di vecchiaia. (ItaliaOggi)
25 giugno 2013