«Sembra ormai che solo la crisi di Governo potrebbe riservare incognite per l’approvazione definitiva della legge che prevede che un terzo degli amministratori dei cda delle società quotate in Borsa e a partecipazione pubblica debba essere donna. Una rivoluzione che comincerà tra sei mesi, se la norma che ha avuto l’ok della Camera sarà votata in tempi brevi anche in Senato. E che avvicinerà l’Italia all’Europa. Non solo: si tratta di «un passo in avanti decisivo per abbattere il soffitto di cristallo che oggi frena le possibilità delle lavoratrici italiane nei percorsi di carriera», come ha commentato qualcuno.
Affermazioni che non possono che trovarci d’accordo. Ci chiediamo, però, se è possibile pensare e approvare una legge che impone una modifica, addirittura, al testo unico per l’intermediazione finanziaria, come mai non sia altrettanto possibile prevedere norme più esaustive e stringenti delle attuali affinché la presenza femminile negli organi decisionali sia garantita, ad esempio, anche per gli enti pubblici, come quelli del Ssn dove lavorano le veterinarie dipendenti dalle Asl. Nella totalità dei servizi veterinari del Veneto (21 Ulss e relative aree funzionali) c’è un solo capo servizio donna. Così quando c’è la necessità di formare una commissione di concorso la composizione è totalmente maschile. Dove li troviamo i capi servizio donne da mettere in commissione, se in Veneto non ci sono? Dicono i colleghi uomini. Forse sarebbe il caso di inserire in commissione colleghe capi servizio di altre Regioni (che hanno numeri in questo senso più confortanti della nostra) e cominciare a spezzare quello che sembra perlopiù un circolo vizioso: poche donne nei servizi e nelle posizioni apicali, niente donne in commissione, poche donne nei servizi e nelle posizioni apicali».