Paolo Mastrolilli. Un paziente americano colpito dall’Ebola è stato ricoverato ieri al National Institute of Health di Bethesda. Se tutto andrà bene, e le terapie usate con i casi precedenti funzioneranno, è destinato a cavarsela. Il suo ricovero, però, riporta l’attenzione su un’epidemia che è scomparsa dalle prime pagine dei giornali, ma non è ancora finita. E soprattutto sui tentativi in corso per sconfiggere in maniera permanente questa malattia, con un vaccino o un farmaco davvero efficace.Secondo i dati appena pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Ebola ha superato la soglia delle 10.000 vittime in Africa occidentale. Per la precisione 10.004, aggiornate a giovedì scorso. In totale fra Sierra Leone, Liberia e Guinea, i tre Paesi più colpiti, i contagiati sono stati 24.350. A questi vanno aggiunti i pochi casi arrivati in Occidente, come quello del malato morto a Dallas, che hanno portato la paura in casa nostra e ci hanno costretti a prestare attenzione a un flagello che fino a pochi mesi fa era solo una minaccia distante, che colpiva Paesi lontani e sconosciuti.
Rischio di altri picchi
I contagi negli ultimi mesi sono diminuiti fortemente, ma nessuna delle regioni al centro dell’epidemia è stata dichiarata completamente libera dalla malattia, anche se la Liberia sostiene di aver dimesso il suo ultimo paziente. Secondo le stime dell’Oms, per arrivare a questo risultato bisognerà aspettare almeno fino all’estate. Il rischio di una ripresa però resta dietro l’angolo, come ha dimostrato l’accelerazione dei casi avvenuta a febbraio nella comunità di pescatori di Aberdeen, in Sierra Leone.
Per contrastare questa epidemia sono state fatte principalmente tre cose, spesso in ritardo e male: isolare i pazienti sul terreno per evitare il contagio, costruendo strutture che i Paesi più colpiti non avevano; controllare il sistema dei trasporti internazionali, senza bloccarli, per evitare che le infezioni si potessero diffondere rapidamente in tutto il mondo; sviluppare nuove terapie, come il farmaco sperimentale ZMapp o i vaccini in corso di studio.
Tra sbagli e ritardi
Sul primo punto non c’è dubbio che sono stati commessi errori. La stessa presidentessa della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, ha ammesso che mandare i soldati a isolare interi villaggi è stato uno sbaglio. Bisognava invece procedere con gli interventi degli specialisti per fermare i contagi, usando strutture apposite che non esistevano. La speranza è che questa lezione sia stata imparata e l’errore non si ripeta, lavorando anche sulla prevenzione. I controlli dei voli hanno funzionato in maniera parziale, e il panico si è diffuso comunque: altra lezione da imparare. Lo sviluppo dei nuovi farmaci poi si è rallentato, perché con il calo dei contagi c’è meno attenzione, meno soldi, e meno pazienti su cui sperimentarli. Per la fase 2 di un trial servono 200 malati, e circa 3.000 per la fase 3. Per fortuna non ci sono più e Chimerix, ad esempio, ha cancellato i suoi studi. Siamo partiti in ritardo, ma così non dovremo sorprenderci, se prima o poi lo spettro dell’Ebola tornerà a terrorizzarci.
La Stampa – 14 marzo 2015