di Filippo Tosatto, dalla Nuova Venezia. I sospiratissimi costi standard? Eccoli qui, applicati per la prima volta alle nove Ulss e alle tre Aziende del Veneto destinatarie del riparto quinquennale dei fondi messo a punto dai manager dell’Area sanità e sociale della Regione. È uno schema finanziario di partenza (l’ultima parola spetterà al Consiglio) che farà arricciare il naso alla politica, avvezza a redistribuire le risorse secondo calcoli di rappresentanza e di consenso; stavolta invece il criterio adottato è prettamente tecnico e riflette la ratio seguita dallo Stato nel suddividere il Fondo sanitario regionale tra le Regioni ovvero la “quota capitaria”, cioè l’entità della popolazione, e l’età media degli assistiti dove l’indice di invecchiamento comporta maggiori oneri di cura.
Otto i miliardi in ballo e rispetto all’anno scorso, l’esito appare qua e là sorprendente: +21,52 milioni all’Ulss Euganea, +22,40 alla Marca Trevigiana, +14,24 al Veneto Orientale; all’opposto -27,06 milioni alla Serenissima, -17,52 alla Dolomiti e – 27,11 alla Polesana. Se la cavano i vicentini, con la Berica a +7,08. Segno meno anche per lo Iov e le Aziende ospedaliere di Padova e Verona (ma non per l’unità sanitaria Scaligera che sale di 33 mln) ma in questo caso si tratta di un anticipo. A fronte del saldo rappresentato dai finanziamenti (confermati) alla didattica universitaria.
Nel dettaglio, i fondi sono spalmati in tre direzioni: 5% alla prevenzione; 51% al territorio a loro volta frazionati in medicina di base, spesa farmaceutica (vale 881 milioni) e prestazioni specialistiche; 44% all’attività ospedaliera. C’è poi un blocco di contributi “a funzione” (378 milioni in totale) che finanzia in particolare il fondo trasfusioni, i presidi di pronto soccorso e il Suem, destinatari ciascuno di un’ottantina di milioni. Pressoché immutata – da 1626 a 1628 euro – la quota media di spesa prevista per ogni veneto.
La domanda? Come si giustifica l’altalena tra chi riceverà più quattrini e chi dovrà stringere la cinghia? Come detto, il fattore determinante è quello demografico “corretto” con le proiezioni anagrafiche: dal 2012 (ultimo riparto quinquennale) ad oggi, la popolazione veneta è lievitata di circa 150 mila unità (centrando quota 5 milioni) ma in modo eterogeneo: lieve crescita nel Padovano, trend di flessione nel Bellunese e in Polesine. Lo sbalzo, spiegano i tecnici, nasce dalla circostanza che in passato – alla luce dei “correttivi politici” adottati – alcune Ulss hanno beneficiato di risorse sovrabbondanti, altre hanno ricevuto trattamenti penalizzanti.
Lo schema adottato, cosi, diventa anche il banco di prova dei direttori generali scelti dal governatore Luca Zaia, collocati sulla medesima linea di partenza. E l’effetto dell’Azienda Zero, la nuova governance architrave della riforma sanitaria? Per ora farà da cassaforte, stanziando le risorse pattuite, e si accollerà le cause di risarcimento (la media di richieste viaggia sui cinquanta milioni l’anno, una dozzina quelli liquidati) evitando cosi alle Ulss l’onere degli accantonamento in bilancio; tra un anno sarà possibile valutare concretamente se il riassetto tecnico-organizzativo garantisce davvero la maggiore efficienza promessa.
C’è altro? Sì. C’è la politica. La ripartizione illustrata sarà sottoposta al vaglio della commissione sanità dove il presidente leghista Fabrizio Boron e il rappresentante del Pd Claudio Sinigaglia hanno già incrociato le lame sul versante della programmazione. Improbabile che l’asettico riparto stilato dai manager esca intatto dal confronto tra i commissari, soggetti alle pressioni dei territori. E un precedente, però, e in tempi di tagli progressivi al welfare l’attenzione ai conti non consente eccessive mediazioni.
Filippo Tosatto – La Nuova Venezia – 23 marzo 2017