Passaggio finale senza sorprese in Aula al Senato per il decreto Pa dopo lo stralcio delle misure previdenziali che erano state introdotte alla Camera. Palazzo Madama ha votato con 160 sì e 106 no la fiducia chiesta dal Governo sul maxi-emendamento interamente sostitutivo del Dl nella versione modificata dalla commissione Affari Costituzionali. La Commissione aveva approvato lunedì quattro emendamenti presentati dall’Esecutivo per sopprimere misure giudicate dalla Ragioneria generale dello Stato prive di copertura: la norma che avrebbe consentito a quattromila tra insegnanti e personale della scuola di andare in pensione con la “quota 96”; la norma che consentiva il pensionamento d’ufficio per primari e professori universitari che avessero raggiunto i 68 anni.
E anche la norma che toglieva le penalizzazioni in caso di pensionamento anticipato di alcune categorie e quella in favore delle vittime del terrorismo. Su richiesta della Commissione Bilancio è stata invece recuperata un’altra misura tolta a Montecitorio e che fa salva l’aspettativa dei magistrati per i quali è già in corso.
Il ministro Marianna Madia ha spiegato che il decreto rappresenta solo il primo tassello d’una riforma ben più ampia, contenuta nel disegno di legge delega trasmesso allo stesso Senato e destinata a «ribaltare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione». Mentre su “quota 96”, ha aggiunto, non c’è stata alcuna marcia indietro del Governo, visto l’annuncio del presidente del Consiglio di un provvedimento strutturale sulla scuola entro agosto che interesserà anche i precari aprendo a «nuove entrate». Nessun problema anche con il Quirinale: «La firma del Capo dello Stato – ha affermato Madia – è stata apposta sul decreto uscito dal consiglio dei ministri e i rilievi del ministero dell’Economia di queste ore sono su norme entrate nel decreto dopo una normale dialettica democratica parlamentare».
Una dialettica che ora dovrebbe chiudersi con un terzo voto di fiducia alla Camera, dopo quello di giovedì scorso sulle misure poi cancellate al Senato. «Il Mef ha voluto un braccio di ferro. Si è aperta una ferita» ha commentato con amarezza il presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio, Francesco Boccia, che sulla questione di “quota 96” s’è confrontato con Renzi: «L’importante è che si risolva il nodo. Il provvedimento va fatto entro agosto». Il via libera definitivo al dl Pa è atteso a questo punto entro venerdì.
L’impianto del decreto, partito con 52 articoli e la previsione di 17 provvedimenti attuativi poi lievitati oltre la ventina con le modifiche dopo la prima lettura, resta incentrato sulle misure per la staffetta generazionale, con le norme che cancellano da ottobre i trattenimenti in servizio (fatte salve alcune categorie) e confermano i pensionamenti automatici per i dipendenti che hanno raggiunto i requisiti contributivi pieni. C’è poi la sperimentazione della mobilità, la semplificazione del turn over e le oltre mille assunzioni per i vigili del fuoco. E ancora: lo stop agli incarichi per i pensionati, esteso anche alle società a controllo pubblico, e il dimezzamento dei distacchi e dei permessi sindacali. Sul fronte dei tagli il dimezzamento delle somme dovute dalle imprese alle Camere di commercio ci sarà, anzi la prospettiva è l’abolizione, ma arriverà con gradualità, solo nel 2017. Resta in piedi l’ipotesi di accorpamento delle sedi delle Authority, ma solo se non vengono rispettati i nuovi vincoli: il 70% del personale deve essere concentrato nel “quartier generale”. Infine viene allargato il campo d’azione del presidente dell’Autorità anticorruzione, ruolo oggi ricoperto da Raffaele Cantone. La sua vigilanza sui contratti d’appalto a rischio coinvolgerà pure le concessionarie e potrà proporre commissariamenti anche nei casi in cui il procedimento penale non sia stato ancora aperto. (Il Sole 24 Ore)
Madia: «Guai se la Camera farà decadere la riforma»
L’umore non è dei migliori. La riforma della pubblica amministrazione, che porta il suo nome, ha rischiato e rischia ancora di inciampare su una questione che con il provvedimento ha poco a che fare, il pensionamento di 4.000 insegnanti rimasti intrappolati per un errore tecnico della legge Fornero. Marianna Madia al Messaggero, confessa il timore che la soppressione dell’emendamento “salva-docenti” deciso dal governo in Senato, possa surriscaldare gli animi dei deputati che in commissione finanze alla Camera, lo avevano votato compatti.
Barbara Saltamartini, una delle prime promotrici della norma sul pensionamento dei professori ha già fatto sapere che potrebbe votare contro il provvedimento. Altri potrebbero essere tentati di emularla, anche nel Pd, dove da Manuela Ghizzoni a Cesare Damiano, sono molti i sostenitori della norma “quota 96”. «In que- sto decreto, spiega Madia, ci sono tante cose importanti, come i poteri sull’anticorruzione assegnati a Raffaele Cantone. Se qualcuno pensasse di farlo decadere si assumerebbe una responsabilità enorme».
Ma è difficile che accada. Anche perché il governo per accelerare i tempi e mettere il pacchetto sulla pubblica amministrazione al sicuro è pronto a chiedere un nuovo voto di fiducia. Resta la questione dei professori. «Come ha spiegato il presidente Renzi, dice ancora il ministro Madia, la questione della scuola verrà affrontata in un provvedimento organico del ministro dell’istruzione Giannini che arriverà entro la fine del mese. Anche perché, spiega, la verità è che la norma sul pensionamento dei docenti è entrata per caso nel provvedimento sulla Pa, si trattava di un emendamento del Parlamento, sul quale la commissione Affari costituzionali ha dato l’ammissibilità ed è stato approvato». Poi, prosegue la ricostruzione, «in Commissione bilancio, che doveva verificare le coperture, c’è stato un membro del governo, il sottosegretario ail’ Economia Giovanni Legnini, che ha espresso parere contrario perché la norma non era adeguatamente coperta. La commissione, democraticamente, ha invece deciso che la copertura andava bene».
Un percorso, sostiene Madia, «limpidissimo, di dialettica democratica». Insomma, la decisione di ritirare l’emendamento in Senato sarebbe legata alla semplice volontà di inserire la norma in un provvedimento organico e trovare coperture più adeguate rispetto a quelle indicate dalla camera. Anche sulla questione del pensionamento d’ufficio a 68 anni dei professori universitari, saltata ancora una volta per la mancata bollinatura della Ragioneria dello Stato, il ministro vuole chiarire i fatti.
«La norma, dice, era entrata perché il pensionamento d’ufficio era stato inserito già per i primari e non volevo che si creasse una disparità tra le due categorie. Nel momento in cui ci è stato detto che aveva un costo, per la stessa ragione ho deciso che per il momento era meglio eliminare entrambe le previsioni». Il ministro, poi, non ci sta a passare per colei che «scardina la riforma Fornero». Anche sulla vicenda dell’eliminazione delle penalizzazioni per chi ha raggiunto il massimo della contribuzione, altro comma cassato dal Senato, si tratta di « una semplice attualizzazione di una vecchia norma inserita dall’ex ministro Sacconi». (Il Messaggero)
6 agosto 2014