Secondo la Corte tre punti della manovra del 2010 sono incostituzionali. Il governo vuole scongiurare i rimborsi ai dipendenti. Ormai è quasi certo: il governo si dovrà occupare della recentissima sentenza della Corte costituzionale che in un colpo solo ha affondato ben tre norme della manovra finanziaria del 2010, definita dall’esecutivo allora in carica per iniziare a fronteggiare le esigenze di risanamento dei conti pubblici dopo la recessione dei due anni precedenti. E se ne occuperà molto presto: con tutta probabilità già nel corso dell’iter parlamentare della legge di stabilità saranno inserite norme ad hoc per rispondere alle obiezioni giuridiche della Consulta, scongiurando però esborsi finanziari che in questa fase sarebbero insostenibili per lo Stato. La sentenza
La strada scelta ricorda quella intrapresa in passato, ad esempio quando si tentò di porre rimedio alla sentenza in materia di Iva sulla tassa sull’immondizia, che i giudici costituzionali avevano giudicato illegittima in quanto gravante non su una tariffa ma appunto su un’altra tassa. In quel caso però il tentativo si rivelò sfortunato (o se si vuole maldestro), perché nell’interpretazione autentica inserita in un’altra legge risultò poi sbagliato il riferimento legislativo al tributo sull’immondizia. Nonostante ciò l’Iva si continua di fatto ad applicare e i cittadini non riescono a recuperare quanto versato in più.
In questo caso si tratta di evitare che lo Stato sia costretto a rinunciare a delle trattenute, e dunque ad incrementare le retribuzioni dei propri dipendenti, dovendo per di più restituire due annidi arretrati (le misure sono entrate in vigore dal gennaio 2011). La prima bocciatura riguarda il cosiddetto contributo di solidarietà a carico dei lavoratori pubblici la cui retribuzione supera i 90 mila euro. Per loro era stato deciso un taglio del 5 per cento sulla quota tra 90 mila e 50 mila, e del 10 per cento al di sopra di questa soglia. Ma la Consulta, come avevano già fatto i Tar a cui si erano rivolti gli interessati, ha argomentato che non si tratta di una riduzione del trattamento economico, quanto piuttosto di un prelievo tributario a carico dei soli dipendenti pubblici e non della generalità dei lavoratori con quel livello di reddito. Dunque un aggravio ingiustificato e incostituzionale.
A questo punto il governo, non volendo distribuire il contributo sulla generalità dei contribuenti, non può che tentare di qualificare l’intervento – in modo più esplicito – come riduzione dello stipendio. Ma non sarà comunque facile.
Ragionamenti non troppo diversi erano stati svolti dalla Corte a proposito della mancata erogazione ai magistrati di acconti e conguagli e del taglio della loro indennità di speciale (taglio che per inciso era stato riproposto in una prima bozza della legge di stabilità, e poi cancellato).
Ma se la bocciatura di queste prime due misure ha effetti non giganteschi sui conti pubblici (alcune decine di milioni) ben più rilevante dal punto di vista finanziario sarebbe la pura e semplice cancellazione della trattenuta, pari al 2 per cento della retribuzione totale, applicata a oltre due milioni di lavoratori pubblici, quelli assunti prima del 2001. Trattenuta che secondo la Consulta non è più giustificata da quando, a inizio 2011, la vecchia buonuscita degli statali è stata sostituita dal meno vantaggioso trattamento di fine rapporto di cui godono la generalità dei lavoratori. Ora l’obiettivo del governo, complicato da centrare, è cancellare formalmente la trattenuta riducendo gli stipendi in misura corrispondente, senza incappare di nuovo nella censura dei giudici costituzionali.
Così la buonuscita
Accantonamento della vecchia buonuscita: 9,6% sull’80% della retribuzione. A carico del dipendente il 2,5%, equivalente al 2% sul totale
Prelievo annuo stimato per un dipendente di fascia C: 600 euro
Accantonamento Tfr: 6,91%
Lavoratori interessati: oltre 2 milioni
«Difficile aggirare la Corte». Clarich: possibile riscrivere le norme ma con modifiche robuste
«Superare o, peggio, aggirare con qualche artificio le sentenze della Consulta non è una cosa semplice e neppure consigliabile in un sistema di pesi e contrappesi come quello italiano. Le prerogative della Corte Costituzionale non sono sindacati i». Marcello Clarich, docente di diritto amministrativo alla Luiss di Roma, è perplesso di fronte all’ipotesi che il governo possa intervenire sulle sentenze che hanno bocciato il prelievo sul Tfr dei dipendenti pubblici, i tagli nei confronti degli stipendi dei manager di Stato e la cancellazione di acconti, conguagli e alcune indennità speciali in favore dei magistrati.
Professore, quale strada hanno di fronte il governo e i parlamento dopo le sentenze della Consulta? «Le soluzioni sono tre: accettare quello che è stato stabilito dalla Corte, riscrivere il provvedimento cercando di conformare i contenuti rispetto ai rilievi indicati dalla sentenza o tentare la via dell’interpretazione autentica».
In che modo? «Prendiamo il caso del taglio degli stipendi dei manager pubblici. La questione è chiarissima. La Consulta ha bocciato il decreto 78 del 2010 che aveva messo nel mirino i compensi superiori ai 90mila euro. Una misura applicata ai soli dipendenti pubblici escludendo tutti gli altri contribuenti. La sentenza parla chiaro affermando il tributo viola la Costituzione perché “determina un irragionevole effetto discriminatorio in quanto tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono eguali davanti alla legge e sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”». Sembra impossibile attaccare questo dispositivo, non è così? Sì, è difficile, ma non impossibile. Il legislatore potrebbe, attraverso il ricorso all’interpretazione autentica, chiarire che il prelievo sui compensi viene effettuato non in ragione di un tributo speciale ma in forza di una riduzione dello stipendio. Certo, mi rendo conto che si tratta di un sofisma. Ma in questo modo la violazione
degli articoli 3 e 53 della Carta sarebbe più difficile da sostenere. Il problema, però, è che questa strada è già stata percorsa». In quale circostanza? «L’avvocatura di Stato, nel difendere la legge di fronte alla Consulta, ha ricordato la celebre lettera della Bce della primavera del 2010 nella quale, tra l’altro, si chiedeva al governo Berlusconi di risanare i conti pubblici ricorrendo anche, se necessario, a tagli di stipendio degli statali. Ma la spiegazione è apparsa debole di fronte alla circostanza, inequivocabile, che era stata operata una ingiustificata discriminazione tra lavoratori pubblici e privati.
Quanto alle questioni del prelievo per la buonuscita e sui compensi dei magistrati? «Anche in questo caso, e forse ancor di più, mi sembra impossibile superare i rilievi della Consulta. Nella sentenza, la questione dei magistrati viene risolta in maniera ineccepibile. Si tratta, tra l’altro, di un corpo non sottoposto a contratto collettivo e la Costituzione nei difende l’indipendenza».
Quali altri strumenti sono previsti per superare le sentenze della Corte? «A livello teorico una legge Costituzionale. Ma, ovviamente, in una circostanza come questa, mi sembrerebbe una ipotesi quantomeno bizzarra. Non credo che il governo pensi di voler piegare la Costituzione per far passare una legge. Basta riscriverla».
Riscriverla come, professore? «Nel caso dei tagli ai manager, ed è strano che non ci si pensò due anni fa, semplicemente estendendo il prelievo a tutti i dipendenti pubblici eprivati». Le sentenze sono retroattive e comporteranno risarcimenti? «Assolutamente si. Questo è fuori discussione. Le sentenze della Consulta intervengono sulla legge annullandone gli effetti presenti, passati e, ovviamente, futuri. Di fatto, è come se la legge oggetto di censura da parte della Corte non fosse mai esistita e, dunque, vanno annullate anche le conseguenze economiche che ha determinato».
Il Messaggero – 15 ottobre 2012