di Barbara Gobbi e Roberto Turno. Persone di «straordinario valore» e dipartimenti lasciati per troppo tempo ad autogovernarsi, con risorse pubbliche in calo e senza una bussola sulle priorità. È questo il ritratto che dell’Iss traccia Walter Ricciardi, commissario straordinario dell’Istituto superiore di sanità da luglio scorso. Come ha trovato l’Iss? Un gigante addormentato, impazzito, dimenticato? Ho trovato una situazione che è un po’ lo specchio del Paese, in cui persone di straordinario valore operano in un contesto in cui per molti anni ha prevalso l’autogoverno. Con la conseguenza che oggi nelle unità e nei dipartimenti dell’Iss lavorano ricercatori magari competitivi a livello mondiale, che però operano in contesti altamente difficili dal punto di vista logistico. Un grande patrimonio di persone e in alcuni casi anche di tecnologie, caratterizzato da frammentazioni e competizioni.
Dalla Cattolica all’Iss: un doppio salto mortale?
In generale tutte le esperienze di “policy making” che ho maturato, anche in ambito internazionale, sono molto utili. In quanto “broker di conoscenza”, fare da ponte tra la scienza e le decisioni mi appassiona. Nel caso dell’Iss, ho scelto di mettermi al servizio del Paese.
Il nuovo statuto riuscirà a colmare i gap dell’Istituto?
Quel che è certo è che lo statuto ci mette nelle condizioni di lavorare: per questo ho preferito adottarlo al più presto con delibera. E la solerzia dei due ministri della Salute e dell’Economia, che hanno provveduto con decreto in tempi rapidissimi, conferma che ci sono grande attenzione e grande aspettativa nei confronti dell’Iss, smentendo quanti temevano che il mio fosse un ruolo di mero commissario liquidatore. Certo, resta il problema di un finanziamento pubblico che nel corso degli anni è diminuito da 130 a 107 milioni. Venti milioni in meno, a fronte di un aumento dei compiti dell’Iss. Che ha continuato a sovrintendere a tutte le funzioni della vita civile del Paese.
Quali sono le priorità d’intervento?
Innanzitutto va risolto il problema dell’estrema frammentazione tra dipartimenti e centri, alcuni dei quali sono nati sulla carta ma non sono mai stati effettivamente coordinati. Poi vanno affrontate le questioni logistica e sicurezza: servono risorse per rimodernare strutture e aggiornare tecnologie. Bisogna far arrivare all’Istituto tutti i finanziamenti possibili: non è più pensabile che l’Iss lavori “gratis”, a esempio, per la magistratura, per le Regioni o per i Nas. Infine, ci sono centinaia di contrattisti ancora precari: riguardo al loro futuro sono ottimista, anche constatando i mali tipici delle strutture pubbliche, come resistenze, ritardi, ricorsi al Tar.
Sul fronte del recupero di risorse, c’è anche l’autofinanziamento…
Che però oggi vale appena 5-6 milioni, il 4% del finanziamento complessivo. Mentre il 96% delle risorse arriva da trasferimenti dello Stato.
Molti ricercatori sono anche molto bravi a trovare fondi, anche internazionali, ma fino a oggi è mancata una struttura ammninistrativa di supporto. Proprio nei giorni scorsi ho dato il via a 4 task force: la prima è un “grant office” che supporti i ricercatori nell’acquisizione di finanziamenti. Le altre saranno su sicurezza, tecnologie e bilancio.
L’apertura ai privati?
Lo statuto dà la possibilità di aprire a forme di collaborazione con strutture pubbliche e private, anche nell’ottica di attrarre risorse. A ottobre ho insediato un comitato etico di altissimo livello che ha tra le sue priorità l’elaborazione di un “codice”, e ho avviato un gruppo di lavoro incaricato di fissare regole trasparenti per dichiarare e gestire possibili conflitti d’interessi.
L’Iss conserverà la forte attenzione verso il farmaceutico?
I rapporti con l’Aifa sono estremamente importanti. Come ha affermato la ministra Lorenzin in Parlamento, Aifa deve diventare un’agenzia centrata sulla regolamentazione del farmaco, e deve farlo senza costi aggiuntivi. Noi siamo in grado di essere il braccio scientifico di questa operazione. Oggi si tratta di codificare meglio attività che già svolgiamo per conto di Aifa, con cui stiamo già lavorando.
L’Iss presenta margini di appropriatezza da recuperare, anche guardando al modello del Patto per la salute?
Ci sono grandi margini di recupero e di contribuzione che l’Iss può dare al Paese da questo punto di vista. Penso al coordinamento delle grandi reti di patologie, su cui l’Italia è estremamente frammentata. Di fatto l’Iss è depositario del programma nazionale linee guida che va ripreso e adattato alla situazione attuale, anche alla luce del Patto per la salute.
La prossima ricerca di grido?
Ce ne sono moltissime in oncologia e medicina molecolare. Iss, poi, coordina la rete delle infrastrutture di ricerca dell’Ue su ricerca traslazionale e biobanche, per non parlare del coordinamento dei sistemi trapianti e delle malattie rare. Cose che poca gente sa e che vanno dette.
Insomma l’Iss c’è e ha un grande futuro alle spalle…
Purché si capisca che occorre muoversi in un contesto diverso: oggi bisogna dire e far sentire che siamo una risorsa per il Paese e che vogliamo lavorare con chi ci deve anche finanziare.
Il Sole 24 Ore sanità – 13 novembre 2014