«È la prima volta in tanti anni di riforme che i risparmi sulla spesa previdenziale restano in ambito pensionistico». Se l’economia non torna a crescere e con essa non torna a crescere l’occupazione nessun sistema pensionistico può reggere. Parla chiaro il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, nell’audizione in Parlamento sui temi della previdenza che precede di pochi giorni il varo della legge di Stabilità. «Possiamo discutere di soglie d’accesso, di flessibilità – spiega – ma se il tasso di crescita non torna a salire, saranno problemi». L’ultima riforma, quella varata a fine 2011, non sarà dunque stravolta perché è grazie ad essa e alle riforme degli anni Novanta che l’hanno preceduta se oggi la spesa previdenziale è stabilizzata.
Si potranno adottare i necessari aggiustamenti «nella cornice di finanza pubblica che è a noi tutti nota» dice Giovannini. Ma non si potranno, per esempio, introdurre forme di pensionamento flessibile con penalizzazioni gradualizzate, come prevedono diverse proposte parlamentari, perché queste «comporterebbero maggiori oneri per diversi miliardi l’anno e sarebbero incompatibili con il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale su cui sta lavorando il Governo».
Il ministro ha confermato che verrà invece fatto il «passo avanti» sulle rivalutazioni degli assegni all’inflazione: dall’anno prossimo tornerà a funzionare fino alle pensioni sei volte superiori al minimo (circa 3mila euro) come prevede la legislazione vigente, ovvero sul 100% dell’assegno fino a tre volte il minimo, sul 90% tra tre e cinque volte e sul 75% per le quote tra 5 e 6 volte il minimo. Si esce, insomma, dal blocco sopra la soglia di tre volte il minimo dell’ultimo biennio, con una spesa maggiore che non dovrebbe superare i cento milioni (stima che il ministro però non conferma). Dal 2015 in avanti il Governo valuterà invece come ridurre l’indicizzazione degli assegni superiori a sei volte il minimo, con l’obiettivo di utilizzare i risparmi «in un’ottica di solidarietà». Altro obiettivo indicato come strategico, ha aggiunto il ministro, è poi quello di garantire il massimo di continuità contributiva a chi ha avuto un ingresso ritardato nel mercato del lavoro o una carriera discontinua, mentre per sostenere l’allungamento della vita lavorativa sono allo studio misure sia di inclusione sia di integrazione al reddito.
Il ministro ha aperto l’audizione alla Camera, poi ripetuta in Senato, con una puntuale ricostruzione della situazione delle salvaguardie per gli esodati (salite a 136.500 con la quarta platea riconosciuta ad agosto; per una spesa complessiva di 10,4 miliardi). «È la prima volta in tanti anni di riforme – ha detto – che i risparmi restano in ambito pensionistico». Dal solo aumento delle soglie di accesso stabilite con la riforma Fornero, altro dato fornito ai deputati, la minor spesa da qui al 2021 sarà pari a 93 miliardi. Giovannini ha fatto proprio l’emendamento al Dl 102 presentato da Damiano per concedere la salvaguardia a lavoratori che si trovavano in congedo per l’assistenza di disabili nel dicembre 2011 e che maturano i requisiti entro il gennaio 2015 (costo 67 milioni). Altre misure amministrative, tutte da quantificare, sono poi possibili per ulteriori salvaguardie, ha concluso Giovannini, con una riflessione anche sui contributi figurativi da riconoscere per le assenze concesse ai volontari donatori di sangue.
Il ministro ha poi fatto cenno alle misure allo studio per stimolare il mercato del lavoro che saranno sia nella legge di Stabilità che «in parte in un possibile collegato lavoro». Mentre non ha parlato dell’altro provvedimento annunciato e che ha una valenza sia lavoristica sia previdenziale. La misura, che resta in campo salvo smentite dell’ultima ora, di un anticipo della pensione a lavoratori con 62 anni e 35 di contributi rimasti senza lavoro e senza ammortizzatori sociali. Si tratterebbe di una sorta di sussidio di ultima istanza che verrebbe successivamente recuperato con micro-trattenute sulla pensione definitiva.
Il Sole 24 Ore – 9 ottobre 2013