Errori sanitari gonfiati per indurre i malati a fare causa. L’Italia è tra i Paesi che più ricorrono alla «medicina difensiva», che i dottori usano per prevenire cause e risarcimenti. di Gian Antonio Stella. Attenzione: «bomba sexy» pronta a esplodere. Il senso dell’assalto contro il pianeta dei medici è tutto in un manifesto affisso per rastrellare clienti: il seno d’una donna coi fili di un ordigno al tritolo, un orologio e una scritta: «Protesi cancerogene e difettose». Ma val la pena di dare la «caccia al medico»? Parliamoci chiaro: ci sono medici che se le vanno a cercare, le denunce per certe sciatterie, certe superficialità, certe negligenze, per non dire di peggio, che causano ai pazienti danni a volte irrimediabili. Le cronache raccontano storie assurde.
Le quali confermano che anche tra i medici, come in tutti i mestieri, esistono i mediocri, gli incapaci, gli Schettino. E anche qualche delinquente, come quelli che in questi giorni in certe cliniche impiantavano su anziani protesi infette perché tanto «hanno aspettativa di vita breve». Vanno bastonati senza pietà, quei medici che per propria colpa (non per errore: per colpa) provocano dolori, menomazioni permanenti e lutti. Vanno colpiti penalmente, anche con il carcere, e nel portafoglio. Anche se nessuna cifra potrà restituire ad Alfonso Scutellà, per fare un solo esempio, suo figlio Flavio, che dopo essere caduto da una giostra morì nel 2007 in Calabria, come scrisse Panorama, «dopo una carambola di ospedali che rifiutavano il ricovero, ambulanze che non si trovavano, elicotteri dell’elisoccorso che non volevano saperne di alzarsi in volo dopo il tramonto». Uno strazio seguito da un nuovo strazio: un processo interminabile segnato da rinvii, scaricabarile, rimpalli di competenze. Detto questo, il modo in cui certi studi professionali e certe «associazioni» che si avvalgono della consulenza di studi professionali vanno a caccia di pazienti traditi nella loro fiducia mal riposta nei confronti di un cardiologo o di un ortopedico ma spesso più semplicemente decisi a farla pagare a chi secondo loro ha sbagliato o peggio ancora furbetti che provano a fare un po’ di soldi, è inaccettabile. Avete presente «Non per soldi ma per denaro» dove Jack Lemmon si lascia convincere da Walter Matthau, un avvocaticchio di pochi scrupoli, a fingere dopo un incidente di essere semiparalizzato per fregare l’assicurazione? Beh, diciamolo: a leggere certi annunci online o vedere certe pubblicità sui muri è difficile non andare con la memoria a quel film di Billy Wilder.
Le pubblicità
Che senso ha affiggere sui muri spropositati manifesti con la radiografia di un torace dove spicca in mezzo ai polmoni (ai polmoni!) una gigantesca forbice con la scritta «sei proprio sicuro che ti abbiano curato bene?» e la pubblicità di una «rete in franchising leader in Italia nell’assistenza al risarcimento danni»? In franchising! L’Ordine, così tignoso nella difesa del tariffario minimo e di certi privilegi della categoria, non ha nulla da dire sullo spaccio di messaggi tipo «ci prenderemo cura di te e avrai zero spese anticipate»? È giusto sparare nell’home page di un sito web (dirittidelmalato.com) il titolone «Malasanità» affiancata parte per parte da due figuri con la cuffietta e la mascherina da dottore e la scritta «Il killer silenzioso»? E adescare clienti elencando decine e decine di possibili danni (dalle ipossie neonatali alla «mancata diagnosi di tumori», dalla «prescrizione della terapia anticoncezionale» alle «patologie con esordio subdolo che vengono dimesse») parlando sempre di «errori» medici tra virgolette col sottinteso che non di errori si tratta ma di probabili mascalzonate o come minimo di casi di «malpractice», cioè negligenza dei medici o della struttura ospedaliera, tra i quali si fa spesso (forse volutamente) confusione? La dice lunga, accusa il chirurgo Maurizio Maggiorotti, presidente dell’Amami (Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente) «il modo in cui si è diffusa la balla dei 90 morti al giorno». Era il 2004 e all’ospedale di Niguarda, in una conferenza stampa, «saltò fuori una cosa teorizzata in Internet e cioè che se fossero stati veri certi dati americani allora proporzionalmente in Italia ci sarebbero una novantina di vittime al giorno dovuti a qualche errore medico o al degrado di certi ospedali o alla cattiva organizzazione di alcuni servizi. Ammesso che il dato fosse verosimile, tutto da dimostrare perché dal 2002 chiediamo inutilmente un “Osservatorio sul contenzioso e sugli errori medici” proprio per spazzare via le chiacchiere, si parlava genericamente di vittime: dal morto alla signora che si lagna perché si aspettava di più dall’operazione all’alluce valgo».
Dati forzati
Ci fu chi scrisse, sottolineando la cosa col condizionale, che poiché secondo gli anestesisti dell’Aaroi c’erano 14 mila morti l’anno e secondo gli assicuratori di Assinform 50 mila «il 50% evitabili se soltanto ci fosse da parte dei pazienti una maggiore attenzione agli esami di controllo e alla prevenzione» (traduzione: troppi pazienti trascurano la prevenzione e gli avvertimenti degli esami) «ogni giorno morirebbero “per errore” da un minimo di 40 persone a un massimo di 140: la media è di 90 malati che perdono la vita “per sbaglio”». «Sc-sc-sc-scientifico», direbbe il Vittorio Gassman de «I soliti ignoti». Da allora, attribuendo il dato all’oncologo Enrico Bajetta («Io? Mai detto una stupidaggine simile. Qualcuno capì o volle capire male e non c’è più stato verso di correggere la cosa») la leggenda metropolitana è diventata sul web una verità conclamata. Provate a inserire in Google le parole «errori medici 90 morti giorno»: escono oltre 400 mila link. Dove ogni formula prudentemente dubitativa è sparita per dare spazio a frasi copia-incolla: «La malasanità uccide più degli incidenti stradali. Ogni giorno 90 persone…». Dice l’indagine della commissione d’inchiesta parlamentare sugli errori sanitari presieduta allora da Leoluca Orlando (non proprio un pompiere) che dalla fine di aprile del 2009 al 30 settembre 2011 i morti per malasanità segnalati sono stati 329. Cioè una vittima ogni 2,6 giorni. Allora come la mettiamo? Di più: la stessa commissione, come ha scritto «La Stampa», avrebbe accertato che «su oltre 50 mila procedimenti per lesioni colpose il 98,8% si conclude con l’archiviazione». Fatto sta che sull’onda della caccia al medico scatenata dalla caccia al cliente da parte di tanti aspiranti vendicatori, scrive l’avvocato Vania Cirese sulla rivista «Gynecologo», «secondo i più recenti dati dell’Ania in un anno solare sono ben oltre 34 mila le denunce dei cittadini per danni subiti nelle strutture sanitarie. L’aumento dal 2008 al 2009 è stato addirittura del 15%».
Polizze in corsia
Conseguenza? Decine di studi legali specializzati, migliaia di medici denunciati (molti giustamente, tutti gli altri a capocchia), assicurazioni che disdicono i contratti e sono sempre più riottose a fornire polizze (sempre più care, anche 14 mila euro l’anno) a chirurghi, ortopedici o addetti al pronto soccorso… Il nostro Paese, sostiene Umberto Genovese, medico legale della Statale di Milano, «è tra quelli ove si registra il più alto numero di medici soggetti a procedimenti per colpa professionale, nonché la nazione europea con il più alto numero di sanitari sottoposti a procedimenti penali: da qui il sorgere della così detta “medicina difensiva”, vale a dire di quelle pratiche caratterizzate o da una maggior richiesta di indagini e accertamenti, anche superflui dal punto di vista diagnostico-terapeutico, ma molto pregnanti per ciò che concerne la dimostrazione di prudenza, diligenza e perizia del medico in un futuro contenzioso». Alla Scuola superiore universitaria Iuss di Pavia hanno chiesto a 1.392 medici di diverse specialità se avessero mai ricorso alla «medicina difensiva». Ha risposto sì il 90,5%. Ovvio: i dottori che hanno già ricevuto o mettono in conto di ricevere un avviso di garanzia sono circa l’80%. Risultato: secondo un’indagine dell’Università Federico II l’iper-prescrizione di farmaci, visite e analisi costa 12,6 miliardi l’anno, cioè l’11,8% dell’intera spesa sanitaria. «O il Parlamento si fa carico del problema sbloccando finalmente la legge 50 che fissa nuove regole assicurative e si è impantanata per le resistenze degli assicuratori o va a finire male», accusa Marco D’Imporzano, ortopedico, già primario al Gaetano Pini, presidente dei chirurghi italiani: «I ragazzi non si iscrivono più alle specializzazioni troppo rischiose, colleghi bravissimi costretti a farsi carico da soli di polizze sempre più care non vanno più in sala operatoria o in sala parto, altri sono spinti a rifiutare gli interventi più difficili perché l’assicurazione minaccia di non coprirli, macchinari di ultimissima generazione costati un occhio della testa non vengono usati perché magari il primario è lì solo in quanto leghista o ciellino e non ci capisce niente senza l’iper-specialista che però non può assumersi certe responsabilità. Se va avanti così finiremo come in America. Dove il gioco della caccia al cliente per far causa al medico ha portato al risultato che in sala operatoria, per gli interventi più difficili, ci vanno solo chirurghi pachistani che quando hanno accumulato troppe cause giudiziarie tornano in Pakistan e addio…».
Gian Antonio Stella – Corriere della Serra – 17 giugno 2012