Con 178 voti favorevoli, 17 contrari e 7 astensioni, supera anche la terza lettura del Senato il ddl Boschi recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della Costituzione. Messa in ombra dal superamento del bicameralismo perfetto e dalla questione più politica dell’elettività o meno del nuovo Senato, la riscrittura del Titolo V della Costituzione è in realtà la parte del Ddl Boschi che forse avrà maggior impatto sulla vita delle imprese e dei cittadini, e sicuramente lo avrà sull’economia del Paese. Per quanto poi riguarda la sanità, cambiano i rapporti di “forza” tra Stato e Regioni. Più che una riforma si tratta in realtà di una contro-riforma, dal momento che raddrizza «l’alberto storto» (l’espressione fu usata allora Giulio Tremonti) del federalismo all’italiana.
Quello, per intenderci, varato in fretta e furia dal centrosinistra nel 2001 per tentare di strappare la “bandiera” alla Lega Nord in crescita. Tentativo per altro non riuscito, dal momento che il candidato premier Francesco Rutelli fu sconfitto da Silvio Berlusconi.
L’albero è stato “raddrizzato”, anche se non del tutto dal momento che restano zone oscure, in due modi: da una parte è stato eliminato l’elenco delle «materie concorrenti» tra Stato e Regioni, e solo questo fatto dovrebbe di per sé ridurre fortemente il contenzioso tra Stato e Regioni di fronte alla Corte costituzionale. Oltre ad appesantire la Corte di un ruolo improprio, il contenzioso Stato-Regioni ha contribuito in questi anni a rendere incerte regole e tempi. E la certezza delle regole e dei tempi è una precondizione indispensabile per effettuare scelte economiche. Dall’altra parte sono state riportate in capo allo Stato come competenze esclusive una ventina di materie per l’economia e lo sviluppo territoriale del Paese: dalle «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza» alla «produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia» fino all’ordinamento delle professioni e della comunicazione, all’ambiente, al commercio estero, alla tutela e valorizzazione dei beni culturali. Una risistemazione da cui potrà trarre vantaggio tutta l’economia, dal momento che sono state riportate alla competenza statale anche temi trasversali: ad esempio «le politiche attive del lavoro», oltre alla «tutela e sicurezza del lavoro», la cui declinazione federalista in questi anni ha costretto spesso le imprese più grandi, presenti in più Regioni, a districarsi fra decine di regole territoriali diverse per i contratti di formazione, gli apprendistati e le altre forme di inserimento professionale.
Una ricentralizzazione, dunque, accentuata anche dalla cosiddetta clausola di supremazia dello Stato: «Su proposta del governo la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica della Repubblica o lo rende necessario la realizzazione di programmi o di riforme economiche-sociali di interesse nazionale». Una ricentralizzazione che tuttavia non nega il principio della devoluzione, ma lo declina in modo diverso dal passato: con il rafforzamento del federalismo differenziato già contenuto nell’articolo 116 della Costituzione, infatti, le Regioni più virtuose dal punto di vista dei conti pubblici potranno chiedere e ottenere più poteri (politiche sociali, politiche attive del lavoro, formazione professionale, ambiente). Da una parte lo Stato interviene dove c’è inefficienza, dall’altra lascia spazio dove c’è efficienza e i servizi funzionano.
Per quanto poi riguarda la sanità, cambiano i rapporti di “forza” tra Stato e Regioni. Con il nuovo articolo 117 del titolo V, infatti, si ampliano le competenze statali prevedendo l’esclusività della potestà legislativa dello Stato non solo nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ma anche nelle “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali”.
Con la riforma costituzionale fa il suo ingresso nella Costituzione (art. 117), la “sicurezza alimentare” in quanto materia di legislazione esclusiva dello Stato. Sparisce invece, insieme a tutte le materie soggette alla legislazione concorrente, l’“alimentazione”.
Questa la nuova lettera m) dell’art. 117 come modificato dal Senato:
“(…) Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
(…)
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute; per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare (…)”.
Sempre nel nuovo articolo 117 è poi previsto che alle Regioni resti “la potestà legislativa in materia di (…) di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.
Presente nel testo anche una cosiddetta clausola di “supremazia”, per la quale lo Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva qualora “lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Infine, ricordiamo che con l’approvazione dell’emendamento all’articolo 30 presentato da Francesco Russo (Pd), viene ampliata la possibilità di devolvere alle Regioni alcune potestà legislative esclusive dello Stato. In particolare la possibilità di devoluzione verrebbe allargata anche alla potestà legislativa “sulle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali”, contrariamente a quanto stabilito nel marzo scorso dalla Camera che aveva invece previsto che tale potestà fosse di esclusiva competenza, non delegabile, dello Stato, riformulando per questo la lettera m) dell’art. 117.
Il ddl torna ora in quarta lettura alla Camera.
Il Sole 24 Ore e Quotidiano sanità – 14 ottobre 2015