Un disegno di legge e un decreto, nel quale però potrebbero confluire nelle ultime ore ulteriori contenuti. È questo l’impianto della riforma della pubblica amministrazione che ieri è stata presentata ai sindacati e che oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare. Nel corso dell’incontro il ministro Madia ha voluto precisare alcuni aspetti, escludendo che siano in programma esuberi e prepensionamenti e ridimensionando anche il criterio geografico per la mobilità: non sarebbe di cento ma di cinquanta chilometri il raggio di azione entro il quale disporre trasferimenti di personale. «Mi aspetto un impegno attivo del sindacato, contro le resistenze al cambiamento, abbiamo l’opportunità di riformare tutta la Pubblica amministrazione, anche il sindacato deve fare la sua parte». ha detto il ministro Madia nel corso dell’incontro.
E in particolare a proposito del tema dei permessi sindacali, che verrebbero ridotti del cinquanta per cento ha detto che questa misura «non vuole sminuire il ruolo dei sindacati» ai quali ha chiesto di «non essere conservatori».
La reazione delle organizzazioni sindacali non è stata favorevole. «Senza risposte siamo pronti alla mobilitazione» ha fatto sapere Rossana Dettori, segretario generale della Funzione pubblica Cgil. Il coordinatore della Cisl Lavoro pubblico Francesco Scrima ha detto che la sua organizzazione esce dall’incontro «profondamente delusa per ragioni di metodo e di merito». Il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo ha osservato che «non c’è un’ipotesi di riforma organica». La decisione su un eventuale sciopero sarà presa però solo quando ci saranno i testi definitivi; molto dipenderà probabilmente anche dalla scelta di collocare alcuni capitoli nel decreto piuttosto che nel disegno di legge.
STESSE TESTE MENO SPESA
La spinta alla mobilità e l’eventuale individuazione di esuberi nel pubblico impiego sono insieme alla riforma della dirigenza i nodi più delicati, del resto collegati anche tra di loro. Marianna Madia ha più volte illustrato il suo progetto di una «staffetta generazionale», che però si deve confrontare innanzitutto con il tema delle necessarie coperture finanziarie per le assunzioni, in quanto sono a carico dello Stato sia le retribuzioni dei dipendenti sia le pensioni che vengono loro erogate una volta lasciato il servizio.Uno strumento individuato è quello della cancellazione del trattenimento in servizio, istituto grazie al quale era possibile restare al lavoro anche oltre l’età della pensione. Poi verranno sfruttate tutte le possibilità normative che non intacchino le regole previdenziali della riforma Fornero, a partire dalla possibilità di uscire anticipatamente con la pensione calcolata con il sistema contributivo (possibilità finora riservata alle donne). Ma uno dei meccanismi chiave per alimentare la staffetta dovrebbe essere quello del ricorso al part time: in questo modo grazie alla proporzionale decurtazione delle retribuzioni la spesa finanziaria delle amministrazioni verrebbe tenuta sotto controllo pur senza una reale riduzione del numero di “teste”. Finora il lavoro a orario ridotto coinvolge una quota limitata di dipendenti pubblici (circa il 5 per cento) in larga parte donne; il percorso per accedere a questa formula non è sempre agevole.
Quanto alla mobilità, la posizione dei sindacati è portare questo tema all’interno della contrattazione. Nella versione finale del testo il governo potrebbe limitarsi a liberalizzare gli spostamenti entro i cinquanta chilometri, considerando le sedi all’interno in questo ambito come facenti parte della stessa unità produttiva, e lasciare poi aperta la discussione sul resto.
In tema di dirigenza una delle norme potenzialmente più dirompenti è l’allargamento della possibilità di reclutare capi all’esterno (in base all’articolo 19 comma 6 della legge 165/2001).
Statali ed esodati, pensione a 57 anni ma con l’assegno tagliato fino al 30%
di Andrea Bassi. Dal menù della riforma della Pa scompare l’anticipo di due anni della pensione per gli statali in esubero. Ma il capitolo «previdenza» non viene cassato. Anzi, si allarga non solo ai lavoratori pubblici, ma anche a quelli privati con un occhio agli esodati. Tutto il pacchetto è contenuto nell’articolo 4 della bozza del disegno di legge intitolato, per il momento, «Repubblica Semplice». Ma non è detto che le norme possano essere trasferite domani direttamente nel decreto. Diverse le novità. Innanzitutto quella sull’età pensionabile. Il provvedimento prevede per tutti i lavoratori, pubblici e privati, di poter lasciare l’impiego in anticipo rispetto ai 66 anni e 3 mesi attualmente previsti dalla legge Fornero. Si potrà andare in pensione a 57 anni con 35 di contributi per i lavoratori dipendenti e a 58 anni sempre con 35 di contributi per gli autonomi. L’anticipo della pensione, tuttavia, costerà caro. L’assegno sarà interamente calcolato con il metodo «contributivo», ossia in base ai contributi versati e non con il più vantaggioso «retributivo» in base all’ultimo stipendio. La perdita, secondo le stime, sarebbe in media del 25-30% sulla pensione, con un minino del 15% e un massimo che può arrivare al 45% a seconda dei contributi versati. Questa norma in realtà già esisteva, ma era riservata alle sole lavoratrici (la cosiddetta «opzione donna») ed è stata utilizzata in 18 mila casi. Ora viene estesa a tutti e allungata fino al 2018.
GLI ALTRI SCIVOLI
Una via d’uscita probabilmente non molto conveniente, ma comunque una via d’uscita. Probabilmente più nel privato, per gli «esodati», che nel pubblico. Per gli statali ci sarà anche un’altra possibilità di pensionamento anticipato. Sarà estesa a loro un’altra norma che già esiste, ma vale in questo caso solo nel privato, e che permette di ammorbidire i rigidi requisiti della Fornero: i cosiddetti «casi eccezionali». Si tratta di due possibilità. La prima è per i lavoratori che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i e che avevano i requisiti per il ritiro prima dell’entrata in vigore della Fornero. Questi lavoratori potranno lasciare a 64 anni invece dei 66 anni e 3 mesi. Le lavoratrici potranno andare in pensione a 64 anni qualora abbiano maturato entro il 31 dicembre 2012 un’anzianità contributiva di almeno 20 anni e alla medesima data avessero un’età di almeno 60 anni. Solo per i pubblici dipendenti, infine, il provvedimento prevede la possibilità di trasformare negli ultimi cinque anni di lavoro il contratto di lavoro da tempo pieno in part-time al 50% dello stipendio. In pensione si andrà comunque con un assegno pieno. Prorogata anche la norma che obbliga tutti coloro che hanno raggiunto il massimo di contributi nella Pa ad andare in pensione. Il Messaggero
Statali, via alla mobilità entro 50 chilometri ecco la riforma della Pa. No ai prepensionamenti, sì a part time e telelavoro
Spariscono i prepensionamenti; si dimezzano i chilometri entro i quali sarà prevista la mobilità obbligatoria; aumenta – negli enti pubblici – il numero di dirigenti «fiduciari», ovvero nominati per specifiche competenze al di fuori dei concorsi. Ecco le ultime novità sulla riforma della Pubblica amministrazione che oggi il governo si appresta a varare attraverso un decreto legge (che conterrà tutte le norme destinate a produrre risparmi) e un disegno di legge delega (che riunirà tutti gli interventi di programmazione).
Rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi Marianna Madia, ministro della Pubblica Amministrazione, ha apportato diverse correzioni: la principale riguarda i prepensionamenti. L’idea originale del governo era infatti quella di favorire il ricambio generazionale nel settore pubblico mandando gli «eventuali lavoratori in esubero» in prepensionamento per un massimo di due anni. Questa norma, nell’ultima bozza del decreto, è sparita – la stessa Madia l’ha confermato ai sindacati ieri convocati – anche perché creava una disparità con il settore privato. «Per noi vengono prima gli esodati » ha dichiarato, a conferma, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
Ma c’è un’importante novità anche riguardo alla mobilità obbligatoria: i dipendenti pubblici potranno essere spostati senza il loro consenso nel raggio non più di 100, ma di 50 chilometri, come già avviene nel settore privato. La differenza, commentano i sindacati, è che a differenza del settore privato qui la mobilità non sarà materia di contrattazione, ma norma di legge e la cosa non piace affatto a Cgil, Cisl e Uil. Cambiamenti in vista per i nuovi ingressi: aumenterebbe il numero dei dirigenti che un ente locale può nominare sulla fiducia, senza passare attraverso un concorso pubblico: dall’attuale 10 per cento si passerebbe al 30. Sempre per i dirigenti – ma questa volta in pensione – l’obbligo di non ricevere incarichi una volta usciti dal mondo del lavoro risulterebbe esteso anche alle società partecipate. Confermato il dimezzamento dei permessi sindacali e l’abolizione del trattenimento in servizio, prevista per favorire la «staffetta generazionale» (termine che nei due testi non risulterebbe usato). Gli statali che avranno raggiunto l’età pensionabile non potranno più continuare a lavorare, come oggi previsto, per altri 2 anni (5 per i magistrati): secondo i calcoli del governo tale misura dovrebbe liberare 10-15 mila posti da riservare ai giovani. Ma la norma, che scatterebbe a fine ottobre, creerebbe pericolosi vuoti in magistratura, in particolare nella Corte di Cassazione dove quasi il 45 per cento dell’organico ha un’età compresa fra i 70 e i 75 anni. La carenza sarebbe «non sopportabile» e causerebbe «gravissimo pregiudizio alla ragione stessa di esistenza della Corte» sottolinea il suo presidente Giorgio Santacroce. In realtà sembrerebbe che l’ultima bozza del decreto già preveda una deroga per i magistrati con incarichi direttivi.
Le novità principali della legge delega, titolata “Repubblica semplice”, dovrebbero invece riguardare i dirigenti, cui sarà posto un tetto massimo sui bonus (dal 20 si passerebbe al 15 per cento), ma il compenso dipenderà anche dall’andamento del Pil. Il loro incarico sarà a termine: 3 anni con possibilità di rinnovo, ma se resteranno senza incarico saranno messi in mobilità e in seguito licenziati. Un capitolo corposo riguarda la conciliazione fra tempi della vita e del lavoro: ci saranno voucher per baby sitter e badanti, convenzioni con i nidi, orari elastici e telelavoro.
Per il ministro Madia questa è «una rivoluzione» impiantata su tre pilastri: «Organizzazione, innovazione, persone». Ai sindacati, dopo aver confermato che non ci saranno esuberi, ha detto: «Mi aspetto un vostro impegno attivo, contro le resistenze al cambiamento: abbiamo l’opportunità di riformare tutta la Pubblica amministrazione, anche il sindacato deve fare la sua parte. Non siate conservatori e rappresentanti del potere che blocca il cambiamento, ma partecipi delle riforme in atto». Quanto ai tagli ai permessi sindacali «si tratta della risposta che ci chiedono i cittadini». Ma l’impianto della riforma non convince i rappresentanti dei lavoratori: niente entusiasmi per «proposte deludenti e prive di disegno organico». Precisano che aspetteranno di conoscere i testi definiti, ma il rischio sciopero resta. Repubblica
Pa, stretta sulla spesa dell’1% all’anno. Nella delega anche il part-time al 50%. Subito la mobilità e turn over light
Non ci saranno prepensionamenti per dipendenti in esubero e la mobilità obbligatoria non sarà tra sedi fino a 100 chilometri ma a una distanza minore, che conosceremo solo oggi. Confermata invece l’abolizione dei trattenimenti in servizio per chi è ancora in ufficio oltre l’età pensionabile – misura che secondo il presidente Giuseppe Santacroce porterebbe una scopertura di organico in Cassazione di circa il 50% – anche se si lavora ancora sui tempi di rispetto dei contratti in corso. Mentre l’incentivo della contribuzione piena al parttime al 50% per i dipendenti che si trovano a 5 anni dai requisiti di pensionamento dovrebbe arrivare con il disegno di legge delega di riforma della Pa che reca il titolo “Repubblica semplice” e le cui bozze sono circolate ieri.
Dopo l’incontro tra il ministro Marianna Madia e i sindacati sembra questo lo schema finale fissato per il varo dei provvedimenti sulla Pa nel Consiglio dei ministri atteso per oggi, al rientro dalla missione asiatica del premier, Matteo Renzi. Nel decreto dovrebbero essere confermati i vincoli light per il turn over, calcolato solo sulla spesa e non più sulla persone, la possibilità di demansionamento per gestire eventuali eccedenze, il taglio del 50% dei permessi e distacchi sindacali e il parziale ridisegno della tassazione sui veicoli, con l’addio al superbollo e l’arrivo dell’imposta regionale sulle nuove immatricolazioni al posto dell’Ipt. Sempre nel decreto ci sarebbe, tra l’altro, l’unificazione della scuole di formazione per la Pa, il commissariamento di Formez e il riordino delle Authority, con l’accorpamento di alcune funzioni per ottenere risparmi fino al 10% delle spese di funzionamento nonché il trasferimento di funzioni in materia di valutazione della performance dall’Autorità anticorruzione alla Funzione pubblica e un pacchetto di semplificazioni. «L’organicità del progetto di riforma si nota ed è molto chiara» avrebbe detto il ministro Madia ai sindacati, invitandoli a non soffermarsi sui singoli provvedimenti ma al disegno di cambiamento complessivo.
Ieri le novità maggiori sono arrivate con la bozza del disegno di legge, composto per il momento di 13 articoli che affidano al Governo 8 deleghe da adottare nei sei mesi successivi all’approvazione della legge. Le materie affrontate sono tutte quelle annunciate nel documento presentato ai sindacati al termine della consultazione pubblica, cui hanno partecipato oltre 40mila persone.
Si parte dalla riorganizzazione delle amministrazioni dello Stato, con la previsione di riduzione di uffici e personale impiegato in attività strumentali per dare più forza alle strutture che forniscono servizi diretti ai cittadini. Da questi interventi, che tra l’altro prevedono l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia Penitenziaria negli altri corpi di Polizia, si scenderà a un perimetro delle Pa centrali e periferiche capace di garantire una minore spesa complessiva, nei primi cinque anni, dell’1% rispetto alla spesa sostenuta nel 2013.
Nel capo secondo del Ddl le deleghe per la riforma della dirigenza e della valutazione dei rendimenti degli uffici. I principi indicati per il legislatore delegante confermano le anticipazioni del Governo: ruolo unico, superamento delle fasce, incarichi triennali, parte della retribuzione di risultato (15% del totale) agganciata all’andamento del Pil e l’affidamento di un budget ai dirigenti per premiare non più del 10% dei subordinati più meritevoli. Nella delega, oltre al part-time, ci sono anche misure immediate per promuovere la conciliazione con il telelavoro e i voucher per le baby sitter, mentre all’articolo 6 arrivano cinque deleghe per altrettanti testi unici su lavoro pubblico, società partecipate, conferenza dei servizi, controlli amministrativi e Camere di commercio, che verranno riorganizzate su base regionale.
Sull’incontro con il ministro Madia dai sindacati arrivano critiche di merito e di metodo: «È stato un incontro deludente – commenta Michele Gentile (Cgil) – leggeremo con molta attenzione le misure sulla dirigenza, la mobilità, la contrattazione e decideremo in base ai contenuti se indire iniziative di mobilitazione». Sulla stessa lunghezza d’onda Francesco Scrima (Cisl): «Le proposte del governo restano assolutamente vaghe, il confronto si riduce a mera e sbrigativa informazione, mentre su una riforma di questa portata il coinvolgimento di chi deve attuarla è indispensabile». Per Marco Paolo Nigi (Confsal) «la proposta governativa è disorganica e penalizzante per i lavoratori pubblici». Mentre l’Avvocatura dello Stato annuncia tre giorni di sciopero.
Domani in Consiglio dei ministri potrebbe arrivare la nomina del nuovo direttore dell’Agenzia delle entrate e un primo pacchetto di semplificazioni fiscali cui sta lavorando il viceministro Luigi Casero. Il Sole 24 Ore
Dipendenti pubblici, part time negli ultimi cinque anni Per i dirigenti parità di genere e mandato triennale
Un part time volontario negli ultimi cinque anni di ufficio, con metà orario e metà stipendio. Ma con la garanzia di una pensione uguale a quella di chi lavorerà a tempo pieno fino all’ultimo dei suoi giorni alla scrivania. Nella faticosa ricerca di un meccanismo utile per far scattare la «staffetta generazionale», il graduale passaggio delle consegne dai lavoratori più anziani a quelli più giovani, il governo approda all’articolo 4 del disegno di legge delega «Repubblica semplice», che arriverà oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri insieme al decreto legge sulla Pubblica amministrazione. Bocciati i prepensionamenti diretti, visti come un privilegio dai lavoratori privati ancora alle prese con il guaio degli «esodati», insufficiente l’abolizione del trattenimento in servizio dopo la pensione, dovrebbe essere questa la chiave per aprire le porte della macchina statale ai lavoratori più giovani. A patto di trovare i soldi, naturalmente, perché la differenza sui contributi previdenziali dovrebbe essere pagata dallo Stato.
Nel disegno di legge, 13 articoli in tutto, ci sono altre novità importanti. Dall’obbligo per ogni amministrazione di risparmiare almeno l’1% per cinque anni, all’assorbimento del Corpo forestale nella Guardia di Finanza e delle guardie carcerarie nella Polizia, passando per una riscrittura totale delle regole dei dirigenti. I nuovi vertici della burocrazia non solo avranno un incarico massimo di tre anni e si vedranno sforbiciare la pianta organica. Ma dovranno rispettare la regola dell’«equilibrio di genere nel conferimento degli incarichi», agganceranno un pezzo del loro stipendio all’andamento dell’economia italiana, e dovranno pubblicare su Internet nome e cognome dei dipendenti ai quali daranno un premio. In compenso la loro responsabilità disciplinare sarà limitata ai «comportamenti effettivamente imputabili ai dirigenti stessi». Nello stesso disegno di legge trovano posto anche le nuove «prefetture regionali», 20 di partenza ma con deroghe possibili per «specifiche esigenze», la «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle Camere di commercio su base regionale» e anche l’accentramento delle autorità indipendenti che gestiranno insieme i servizi e potrebbero arrivare a una sede unica.
Il disegno di legge delega avrà tempi lunghi. Non solo per il doppio esame in Parlamento senza la corsia veloce del decreto legge ma perché poi sarà la volta delle norme attuative, da emanare entro sei mesi. Per questo l’attenzione di tutti si concentra sul decreto legge, con le sue norme subito operative. A partire dalla mobilità obbligatoria, il trasferimento dei dipendenti a prescindere dal parere dell’interessato. Ieri il governo ha smentito l’ipotesi che il «trasloco forzato» posso arrivare fino a 100 chilometri di distanza, come indicato in alcune bozze. Sembra confermata l’ipotesi di un raggio più breve, 50 chilometri o un’ora di distanza con i mezzi pubblici, circolata due giorni fa.
I sindacati bocciano il governo su tutta la linea. L’Usb ha già fissato uno sciopero per giovedì prossimo, oggi anche le altre sigle prenderanno una decisione. «Non siate conservatori, spero nella vostra collaborazione», ha detto il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia agli stessi sindacati, incontrati ieri. Ma l’aria che tira non è proprio distesa. Nel decreto, in vigore dal primo agosto, c’è anche il taglio al 50% di permessi e distacchi sindacali. Lorenzo Salvia – Corriere della Sera
Madia frena sulla mobilità: non stravolgeremo la vita dei dipendenti. Forestale e penitenziaria dentro la Polizia di Stato
Roberto Giovannini. Ci sono voluti settant’anni per abolire uno dei cascami dell’era fascista. La Milizia Forestale divenne il «Corpo Forestale dello Stato» alle dipendenze del ministero dell’Agricoltura, che fu coinvolto anche in un tentativo di golpe. Se il ddl «Repubblica semplice» voluto dal premier Renzi e dal ministro Madia diventerà legge, la Forestale verrà assorbita «negli altri corpi» (probabilmente nella Polizia di Stato). Stesso destino per la polizia penitenziaria, oggi alle dipendenze del ministero di Giustizia. È solo una delle molte novità contenute nella bozza della riforma della pubblica amministrazione – composta da un decreto legge urgente e da un disegno di legge – che oggi dovrebbe essere varato dal Consiglio dei ministri.
Ieri il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia ha incontrato i sindacati di categoria. In realtà il ministro non ha dato alcun testo né indicazioni precise su una riforma che definisce «organica» e «chiara», una «rivoluzione» nella macchina statale e burocratica su cui ai sindacalisti ha chiesto «un impegno attivo, contro le resistenze di cambiamento». Tuttavia ha smentito alcune delle indiscrezioni della vigilia, contenute nelle bozze circolate. Primo, ha escluso che la mobilità obbligatoria per il personale in eccesso, comunque «necessaria per evitare esuberi e rispettare i lavoratori», possa arrivare fino a 100 chilometri, perché così stravolgerebbe «la vita delle famiglie». Secondo, ha negato che ci saranno prepensionamenti obbligati tra i dipendenti pubblici. Terzo, ha assicurato che non si procederà con esuberi, né con prepensionamenti, ma con una staffetta generazionale e con eccedenze che saranno ricollocate nell’ambito della Pubblica amministrazione.
I sindacalisti non sono usciti soddisfatti dall’incontro. Anzi. Al termine delle tre ore d’incontro – in cui in realtà hanno parlato soprattutto loro – sono usciti da palazzo Vidoni con tutti i dubbi che avevano. «Ci aspettavamo qualcosa in più», dicono in Cgil, mentre la Cisl è ancora più esplicita e definisce «deludente» il summit; la Uil taglia corto: «non c’è un’ipotesi di riforma». Sull’atteggiamento di Cgil-Cisl-Uil se ne saprà di più una volta diffusi i testi dei due provvedimenti.?
Come detto, alcune misure chiave della riforma contenute nelle bozze del decreto legge sono state smentite direttamente dal ministro Madia. Probabilmente anche alcune delle misure contenute nel disegno di legge che rappresenta la seconda gamba della riforma salteranno o verranno modificate. Moltissime, a parte l’assorbimento di Forestale e Penitenziaria, le novità. A cominciare dall’obiettivo (da raggiungere nell’arco di sei mesi) di riorganizzare l’amministrazione con il riordino di uffici centrali e periferici, di ministeri e di enti pubblici non economici. Ci sono anche una serie di semplificazioni e di novità come il telelavoro e voucher per baby-sitter, badanti e nido, orari più flessibili, per conciliare meglio i tempi di vita e di lavoro delle pubbliche dipendenti.
Nella bozza del ddl si indica l’obiettivo di ridurre le spese di ciascuna amministrazione, «per i primi cinque anni» per un importo «non inferiore all’1% della spesa sostenuta nell’anno 2013». E si fissa il tetto per i bonus dei dirigenti pubblici, al 15% dello stipendio, legando la sua erogazione anche all’andamento del Pil. Per l’inquadramento dei dirigenti verrà istituito un ruolo unico interministeriale dei dirigenti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, eliminando le due fasce attuali. I dirigenti pubblici potranno svolgere i loro incarichi per una durata di tre anni, rinnovabili partecipando a un bando pubblico, ma saranno revocabili in relazione «al mancato raggiungimento degli obiettivi». La Stampa
13 giugno 2014