È un’analisi asciutta a suon di numeri, quella che fa il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli, delineando i due scenari possibili che si aprono, partendo dall’attuale situazione: oggi gli Usa valgono 10.439 tonnellate di prodotto originale e sono il secondo mercato per l’export di Parmigiano Reggiano (dietro alla Francia con 11.333 tonnellate) per un controvalore di circa 130 milioni che va ai produttori italiani. «Al netto dei dazi di Trump, quello americano è un mercato che stimiamo raddoppierà i volumi da qui al 2025, perché dopo decenni di presidio e conoscenza, i valori intangibili della Dop sono sempre più apprezzati dai consumatori evoluti delle due coste, atlantica e pacifica, come ci ha confermato la missione appena chiusa a New York per il Fancy Food Show» premette Bertinelli.
Oggi la “forma” viene venduta all’ingrosso negli Usa a circa 15 dollari al kg (13 euro), cifra su cui viene poi applicato un dazio di 2,15 dollari/kg. Il consumatore americano arriva a pagare 40 dollari, per i ricarichi della filiera distributiva americana, tra trasporto e lavorazione (il 75% delle forme viene porzionato, grattuggiato, non venduto tal quale allo scaffale). I nuovi dazi studiati dall’Ustr prevedono che la tassa salga fino a eguagliare il valore del prodotto, ovvero passi da 2,15 a circa 15 dollari/kg, facendo così schizzare il listino medio del Parmigiano per le famiglie americane a 60 dollari (salgono anche i margini della filiera, perché parametrati ai prezzi), un rincaro del 50% rispetto al quadro attuale.
«Il primo scenario possibile nel caso Trump mantenga la minaccia di applicare un dazio pari al valore del prodotto – spiega il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, il più danneggiato tra i formaggi italiani perché quello con le quotazioni più alte – è quello ottimistico che non mutino le quantità esportate, partendo dall’assunto che i foodies oltreoceano altospendenti non si curino di arrivare a pagare la Dop il 50% in più». Ipotesi in cui per i produttori italiani non cambia nulla, la Casa Bianca incamera non più 22 milioni di dazi (i 2,15 $/kg per le oltre 10mila tonnellate di export) bensì oltre 150milioni di dollari. Ma a pagare la differenza di gettito – i 130 milioni – sono gli stessi consumatori americani che Trump vorrebbe proteggere dalla presunta concorrenza sleale europea.
«Il secondo scenario è quello che ci fanno presagire gli operatori oltreoceano – prosegue Bertinelli – secondo i quali un tale rialzo dei listini porterebbe a un crollo tra l’80 e il 90% della domanda di un bene di lusso premium price, qual è il Parmigiano Reggiano. Dop che, non va dimenticato, rappresenta meno del 5% dei volumi di “parmesan italian sounding” venduti in Usa (a un prezzo che è un decimo, 4-5 dollari/kg) con l’ulteriore beffa che i due terzi dei consumatori americani sarebbero convinti di comprare il prodotto originale italiano anche quando comprano parmesan fatto in loco, dato che negli States non vige un accordo di libero scambio come in Canada o in Giappone che impedisca l’utilizzo del termine».
Un calo dell’export dell’80-90% significa che i casari emiliani perderebbero un mercato strategico e oltre 100 milioni di euro di fatturato in un solo colpo, la filiera delle imprese americane che trasportano e lavorano le “forme” vedrebbero ridursi l’attuale business (200 milioni di dollari) in proporzione e il Governo Trump incasserebbe con i dazi a 15 dollari le stesse cifre di oggi o poco più, perché applicate su mille o 2mila tonnellate al massimo, non su 10mila. «È un meccanismo in cui perdono tutti» conclude Bertinelli, che punta a sensibilizzare forze politiche e comunità internazionale in attesa che la Wto si esprima in settembre sulla legittimità e proporzionalità dei nuovi dazi.
Ilaria Vesentini