Pensioni anticipate, taglio fino al 15% Prestito da restituire in 20 anni. Riforma per i nati dal ‘51 al ’55. Come funzionerà
Chi anticiperà volontariamente l’uscita dal lavoro di 3 anni rispetto alla soglia di vecchiaia potrà fare leva su un nuovo prestito pensionistico-bancario da rimborsare in 20 anni: la rata potrà produrre una riduzione fino al 15% della pensione piena potenziale. Ma i lavoratori che si troveranno in una situazione particolarmente disagiata, come ad esempio i disoccupati di lungo corso, vedranno ridursi al minimo, se non addirittura azzerata, la “decurtazione implicita” dell’assegno per effetto di apposite detrazioni fiscali. Che andranno ad attutire, in versione modulare (da calibrare anche sulla base del reddito e della categoria di appartenenza) l’impatto dell’anticipo. E per i soggetti più “deboli” lo Stato, sempre facendo leva sulle detrazioni, si farà carico non solo degli interessi ma anche di una fetta del “capitale” (ovvero della decurtazione “potenziale” della pensione). Sono stati il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini, a illustrare ai sindacati le linee guida dell’Ape (Anticipo pensionistico).
«È stato un confronto positivo e concreto», hanno detto Poletti e Nannicini. E anche i sindacati hanno parlato di «passi in avanti» apprezzando il mancato ricorso a penalità esplicite nella proposta del governo. Un clima di dialogo costruttivo, dunque. Come confermato dalla serrata tabella di marcia già concordata per i prossimi incontri. Sulle pensioni governo e sindacati si rivedranno il 23 e il 28 giugno mentre sul lavoro il nuovo round si terrà il 30 giugno. Con all’ordine del giorno l’ipotesi di intervento sul cuneo per ridurre il costo del lavoro stabile, già anticipata ieri dal governo, e il riordino delle politiche attive con la nascita della nuova Agenzia nazionale.
Sulle pensioni confermato il ricorso al meccanismo del “prestito” che sarà garantito dalla banche con un’assicurazione sui rischi ma senza la richiesta di una garanzia reale (ad esempio la casa di proprietà). A erogare l’assegno anticipato sarà l’Inps, che diventa il front office dell’Ape anche attraverso la certificazione della pensione. Il montante pensionistico sarà quello raggiunto al momento della richiesta dell’anticipo (non si conterebbero gli tre anni di contribuzione ancora mancanti per il raggiungimento della soglia di vecchiaia) mentre il coefficiente di trasformazione utilizzabile sarà quello relativo al raggiungimento dell’età di vecchiaia.
Come ha sottolineato Nannicini, non saranno previste penalizzazioni esplicite e scatteranno detrazioni fiscali più elevate per i soggetti più deboli. La reale decurtazione dell’assegno, che sarà variabile, si materializzerà al momento in cui scatteranno le detrazioni fiscali (diverse a seconda dei casi). L’ammortamento sarà ventennale. E l’operazione per i primi tre anni (dal 2017 al 2019) avrà un carattere sperimentale: nel 2017 coinvolgerà i nati tra il 1951 e il 1953 (gli over 63), nel 2018 i nati del 1954 e quello seguenti i nati del 1955. Subito dopo l’intervento, destinato a confluire nella prossima manovra di bilancio autunnale, potrebbe assumere una fisonomia permanente.
Il costo dovrebbe oscillare tra i 500 e i 600 milioni. Ma senza il coinvolgimento di banche e assicurazioni il piano flessibilità-pensioni avrebbe potuto avere un impatto sui conti pubblici anche di 10 miliardi. La platea dell’Ape dovrebbe oscillare tra i 30mila e i 40mila lavoratori annui, anche perché non tutti gli interessati dovrebbero optare per l’uscita anticipata.
Passando al mercato del lavoro, il governo ha confermato l’intenzione di intervenire per ridurre il costo del lavoro stabile. Le ipotesi di intervento saranno discusse con i sindacati, probabilmente già a partire dal tavolo del 30 giugno. L’impegno è procedere a un taglio strutturale dei contributi, visto che l’attuale incentivo scadrà a dicembre. Non è comunque esclusa l’ipotesi di una nuova proroga dell’attuale decontribuzione (in versione ancor più light). Sul fronte politiche attive, il ministro Poletti ha detto che in corso una trattativa con le regioni per ri-finanziare già quest’anno i centri per l’impiego, in vista dell’avvio dell’Anpal. La partita vale circa 70 milioni.
I leader di Cgil, Cisl e Uil hanno apprezzato l’avvio del confronto: «C’è qualche novità positiva e la disponibilità del governo a entrare nel merito dei vari aspetti», ha detto Susanna Camusso. «Il clima è cambiato, si è attivato un confronto vero», ha aggiunto Annamaria Furlan. «Non c’è ancora un giudizio complessivo – ha sintetizzato Carmelo Barbagallo -. Il Paese si aspetta qualcosa di buono, vediamo di non deluderlo».
COME FUNZIONERÀ L’APE. SI PARTE CON I NATI TRA IL 1951 E IL 1953, POI L’ESTENSIONE FINO AL ’55
Nessun ridimensionamento della legge Fornero, i cui requisiti di legge non verranno modificati. E neppure una riduzione del raggio d’azione dell’Inps, destinato a diventare il “front office” dell’Ape, l’Anticipo pensionistico. L’obiettivo del piano che sta mettendo a punto la cabina di regia economica di palazzo Chigi, guidata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, d’intesa con i tecnici del ministero del Lavoro, resta quello di rendere più flessibili le uscite degli “over 63” facendo leva su strumenti finanziari, ovvero sul meccanismo del “prestito” da banche senza garanzie reali del beneficiario e con una copertura assicurativa sull’ipotesi di premorienza.
L’onere dell’opzione Ape sarà duplice: da una parte la penalizzazione implicita di chi sceglie di interrompere i versamenti contributivi e di fissare così il montante finale per il calcolo della pensione a regìme, l’altro determinato dal tasso di interesse sul prestito ottenuto su uno, due o tre anni di anticipo. Un onere, quest’ultimo, che sarà abbattuto con un piano di ammortamento alleggerito, a seconda della tipologia e del reddito del beneficiario, da una detrazione fiscale modulare. Che sarebbe più elevata per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela.
Come già anticipato dal Sole 24 Ore l’ammortamento (la restituzione a rate del prestito) sarà ventennale. E l’operazione dovrebbe scattare, almeno nella prima fase, in via sperimentale per i nati tra il 1951 e il 1953 per poi aprirsi fino a quelli del 1955 e, solo successivamente, assumere una fisionomia strutturale.
Per abbattere almeno in parte il costo dell’anticipo bancario i lavoratori che hanno aderito a un fondo pensione potranno ricorrere alla cosiddetta «Rita», l’acronimo di «Rendita integrativa temporanea anticipata». Potranno cioè avere un anticipo del capitale cumulato prima delle decorrenza della pensione e utilizzarlo per “spesare” l’Ape. Opzione che vedrebbe penalizzati i dipendenti pubblici, visto che a fronte di 5,2 milioni di dipendenti privati iscritti a una forma di previdenza integrativa i colleghi del pubblico impiego sono solo 174mila (su 3,3 milioni). È poi probabile che lo schema Ape sarà differenziato per il lavoro autonomo, ma di questi aspetti nell’incontro di ieri non si è parlato.
Al secondo tavolo di colloqui con i sindacati si è confermato, invece, che le misure in cantiere sarebbero anche altre. Si è parlato, per esempio, di lavoratori esposti ad attività usuranti. Siccome lo schema attuale ha troppi paletti che rendono selettiva l’uscita con requisiti più lievi per chi svolge mansioni faticose, l’ipotesi è di avviare una semplificazione tenendo conto anche della dotazione del fondo residuo. Si affronterà – è stato detto dal ministro Poletti – anche il problema dei cosiddetti “lavoratori precoci”, coloro cioè che hanno iniziato a versare contributi molto presto e che si sono visti innalzare di molto i limiti per la vecchiaia. E si è parlato anche di una semplificazione dei meccanismi di uscita con ricongiunzioni da rendere non onerose, un’ipotesi quest’ultima che è contenuta anche nella proposta di riforma fatta un anno fa dall’Inps.
Restano sullo sfondo, almeno per il momento, altri temi contenuti nelle piattaforme sindacali e che riguardano non i lavoratori ma chi è già pensionato: si va dal miglioramento dei trattamenti più bassi al recupero delle indicizzazioni non rimborsate con il decreto dell’anno scorso. Temi molto onerosi e che potranno essere affrontati, come è evidente, nel quadro delle compatibilità di finanza pubblica che verranno fissate con la legge di Bilancio in ottobre. (Il Sole 24 Ore)
PENSIONI, ANTICIPO CON TAGLIO MASSIMO DEL 15%. ESODO VOLONTARIO, L’INCENTIVO DELLO STATO
Dal prossimo anno chi è nato dal 1951 al 1955 potrà accedere al pensionamento anticipato fino a tre anni rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi richiesta per la pensione di vecchiaia. Ma per farlo dovrà appunto chiedere un anticipo sotto forma di prestito, che poi restituirà sulla pensione normale in 20 anni, con rate che peseranno in maniera variabile sull’importo dell’assegno, fino a un massimo di circa il 15% per il redditi maggiori. Questa, a grandi linee, la proposta sulla cosiddetta «flessibilità in uscita» che ieri pomeriggio il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, hanno illustrato ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
La proposta, denominata Ape (anticipo pensionistico), dovrebbe entrare nella legge di Bilancio ed entrare in vigore dal primo gennaio 2017. Avrà un costo limitato: 6-700 milioni. Che servirebbero in buona parte a coprire la detrazione fiscale che sarà accordata sulle rate di rimborso del prestito e la garanzia assicurativa per le banche che forniranno l’anticipo attraverso l’Inps. La detrazione fiscale sarà modulata sul reddito e sulla condizione lavorativa. In sostanza, dovrebbe tendere ad annullare il taglio della pensione regolare (conseguenza delle rate di rimborso) per le persone a più basso reddito e per quelle rimaste senza lavoro in età avanzata. Al contrario, il taglio si farà sentire sui redditi alti (fino al 15% della pensione di cui ha parlato Nannicini) e su chi sceglierà autonomamente di lasciare il lavoro prima. Infine, il costo dell’assegno anticipato sarà a carico delle aziende quando fossero queste a volere il prepensionamento.
Ieri il governo ha avviato anche il confronto sul mercato del lavoro, ma restando su linee molto generali. Sono già stati programmati altri tre incontri, il 23, il 28 e il 30 giugno. Nella conferenza stampa, i leader sindacali, pur restando cauti («siamo appena all’inizio») hanno preferito valorizzare gli elementi positivi, anche perché la loro priorità, in questa fase, è tenere aperto il tavolo così a fatica conquistato. Camusso ha sottolineato che il governo non parla più di «penalizzazioni». Nannicini ha spiegato che in realtà si tratta appunto di «penalizzazioni implicite», sotto forma di rate di rimborso del prestito. Furlan è apparsa la più soddisfatta: «È cambiato il clima, si è attivato un confronto vero». Barbagallo ha voluto sottolineare che «il lavoratore interessato non dovrà rapportarsi a banche o assicurazioni, ma continuerà ad avere come proprio interlocutore solo l’Inps». Sarà quest’ultimo, ha spiegato in realtà Nannicini, ad avere i rapporti con gli intermediari finanziari. Di fatto le proposte del governo sono lontanissime dalla piattaforma di Cgil, Cisl e Uil che vorrebbero modifiche sostanziali alla Fornero, con la possibilità per tutti di andare in pensione con 62 anni di età o 41 di contributi. E senza penalizzazioni. Avrebbero un costo improponibile, ribatte il governo. L’Ape, unita con altre forme di flessibilità (per esempio, l’anticipo sulla previdenza integrativa) secondo le preferenze del lavoratore, potrà risultare interessante, come ponte verso la pensione regolare, solo per le fasce in difficoltà, perché espulse dal lavoro, o per chi ha redditi alti da poter sopportare il costo del rimborso pur di lasciare prima. (Enrico Marro – Il Corriere della Sera)
15 giugno 2016