La scarsa diffusione e conoscenza degli strumenti di previdenza complementare rende problematica la valutazione del costo da sostenere per ottenere una pensione dignitosa. Ma quanto costano davvero i fondi pensione italiani? Sono davvero così cari come sostendono i loro detrattori? Le statistiche analizzate dalla vigilanza e dai principali advisor internazionali dicono tutt’altro: all’estero i gestori incassano commissioni superiori che in Italia e le stesse polemiche su Fidelity la dicono lunga sul livello di costi praticato in Italia. Eppure in questa classica “trappola” mentale cade buona parte degli italiani, condizionandone le scelte in senso negativo. Il documento – Fondi pensione e PIP “nuovi”. Indicatore sintetico dei costi
Di fatto per molti lavoratori pagare una società per gestire i propri contributi previdenziali è qualcosa di indigesto, indebito, inutile.
Tanto varrebbe, dice addirittura qualcuno, versare i propri contributi allo Stato, con buona pace della diversificazione del rischio. Posto poi che lo Stato si mostra efficiente quando gestisce il denaro dei cittadini. Ma andiamo con ordine per discernere realtà e percezione .
Le statistiche
Premessa: secondo quanto analizzato dalla Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, l’onerosità di un fondo pensione va parametrato alla durata di adesione: maggiore è l’adesione, minore è il costo annuo. Aderire a uno stesso fondo pensione può costare l’1% l’anno per chi è iscritto solo due anni, quota che si riduce allo 0,2% per lo stesso lavoratore che aderisca allo stesso fondo per 35 anni. Poco, se si confrontano questi òneri con quelli dei fondi comuni di investimento, cui spesso i fondi pensione vengono accostati: il risparmio gestito è più flessibile, ma non è agevole trovare fondi obbligazionari a breve/medio termine con un total expence ratio (criterio di calcolo differente ma no così difforme dall’Isc) sotto l’1%, mentre gli strumenti bilanciati e azionari superano non di rado il 3%.
Il quadro completo tratto dalla relazione Covip 2012, evidenzia come i fondi pensione negoziali o di categoria siano gli strumenti in assoluto meno onerosi; se si considera che quelli dedicati ai dipendenti offrono il vantaggio aggiuntivo di ricevere il contributo datoriale, è evidente la loro convenienza rispetto agli altri strumenti per i lavoratori dipendenti. I fondi pensione aperti si collocano a metà strada tra i negoziali e i piani individuali pensionistici (Pip) ossia le polizze previdenziali, in assoluto le più onerose: mediamente costano da tre a sette volte un fondo di categoria.
Perché sono importanti i costi? Alcune elaborazioni hanno accertato che due strumenti identici per rendimento, contribuzione e durata di adesione – ma con l’1% di oneri di distanza – producono rendite differenti del 20% al termine di 35 anni di adesione. Se il primo costa il 2% più del secondo, quest’ultimo produrrà una rendita superiore del 35%: oltre un terzo. Due lavoratori “gemelli” andrebbero in pensione con rendite anche sensibilmente diverse, in ragione delle loro scelte di lungo termine.
La Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, ha dedicato molta attenzione al contenimento dei costi, sin dall’entrata in vigore della 252/2005, la legge che riformava la destinazione del Tfr per i lavoratori: entrata in vigore a inizio 2007 la norma ha schiacciato verso il basso gli oneri pagati dagli aderenti ai fondi pensione, riducendo l’Isc (indice sintetico di rischio), in particolare dei piani individuali pensionistici (Pip) che si sono visti vietare il cosiddetto “precosto”, l’anticipo sui consti che gli aderenti versavano. Non di rado, le rate versate dai lavoratori erano rappresentate per l’80% da commissioni anticipate alla rete: una pratica utilizzata per rendere poco conveniente al cliente l’uscita anticipata, ma che è stata cancellata dal principio della portabilità della posizione previdenziale, introdotto dalla 252/2005 stessa. Il preconto, in realtà, è rimasto in una qual forma: la compagnia assicurativa anticipa all’agente o all’intermediario che colloca il Pip tutte le commissioni che il nuovo cliente verserà nell’anno successivo, motivando così economicamente la rete di vendita.
… e la risposta del mercato
Anche per questo gli unici strumenti che hanno avuto negli ultimi anni una diffusione rilevante sono stati proprio i Pip. I costi dovrebbero remunerare la consulenza previdenziale, ma occuparsi di una cosa importante come la pensione altrui non è semplice e prevede un impiego di molto tempo e bassa remunerazione: promotori finanziari e gestori preferiscono collocare altri strumenti – dalle polizze ai fondi comuni -, più remunerativi per il collocatore. Anche per questo in molti guardano con attenzione ad altri modelli esteri, che riescono ad essere più pervasivi e meno legati ai cicli economici (visto che la crisi ha portato l’anno scorso al congelamento dei versamenti di un lavoratore su 5); ad esempio quanto accade in questi mesi nel Regno Unito, dove è partita un’operazione molto articolata di consulenza previdenziale organizzata da un soggetto pubblico, il Nest, che veicolando alcuni rudimenti di educazione finanziaria e previdenziale, spiega ai britannici come risparmiare in modo coerente per la propria pensione. D’altronde il costo dei fondi pensione è in realtà un costo psicologico. Quello di sintonizzarsi su un nuovo approccio alla materia, quella previdenziale che per decenni è stata demandata allo Stato. Che oggi non ha le risorse per sostenere le prestazioni erogate finora e necessariamente spinge il singolo a organizzarsi.
E’ un po’ come cambiare il sistema operativo del proprio computer: all’inizio è da mal di testa, ma poi le cose filano liscio e si è più contenti di prima. E infatti un’indagine recente di Mefop ha evidenziato un tasso di gradimento nei confronti dei fondi pensione altissimo, oltre l’85% degli iscritti si dichiara soddisfatto della propria scelta. Paradossale che piacciano così tanto a chi li sceglie e che suscitino una così vasta disaffezione preconcetta, con adesioni limitate al 25% degli aventi diritto. E d’altronde, se fosse davvero un ricco business per le banche, come alcuni critici dei fondi pensione sostengono, sarebbero molto più diffusi…..
Il Sole 24 Ore – 25 settembre 2013