Pensioni, stop alla riforma: la flessibilità è senza copertura. Fuori la previdenza dalla prossima legge di Stabilità
Roberto Mania, dalla Repubblica. Le pensioni escono dal menù della prossima legge di Stabilità. Nessuna flessibilità in uscita per correggere il ripido innalzamento dell’età pensionabile, con tutti gli effetti collaterali, dagli esodati in giù, introdotto dalla riforma Fornero del 2011. A Palazzo Chigi sono nettissimi: «Non ci sono le coperture. Dovremmo aprire un negoziato con la Commissione di Bruxelles ma quello lo faremo per strappare più flessibilità sui parametri legati agli investimenti, non per la spesa pensionistica ». Se ne parlerà quasi certamente l’anno prossimo. E d’altra parte sia il premier Matteo Renzi sia il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, hanno parlato tanto di tasse (sulle imprese in particolare) nell’ultimo weekend a Cernobbio ma mai di pensioni e di flessibilità in uscita.
Ed è significativo che abbiano scelto di non accennare nemmeno al tema delle pensioni davanti a una platea di imprenditori (molti presenti anche sui mercati internazionali) e di investitori che considerano proprio la riforma del governo Monti un passaggio chiave nel processo di risanamento delle finanze pubbliche e di riacquistata credibilità dell’Italia sui mercati.
Quella riforma è stata cruenta sul piano sociale, ma — al di là dei timidi segnali di ripresa — non sembrano esserci ancora le condizioni per un suo ripensamento. E d’altra parte l’Italia è uno dei pochi Paesi europei che nel lungo periodo continuerà ad avere la dinamica della spesa pensionistica sotto controllo rispetto al Pil, nonostante l’invecchiamento progressivo della popolazione e la crescita costante dell’aspettativa di vita. Piuttosto la nostra emergenza — secondo anche le stime della Ragioneria generale dello Stato — si chiamerà presto spesa sanitaria di lungo termine proprio per la cura socio-sanitaria destinata alla quota sempre crescente di popolazione più anziana. Entro il 2021 la legge Fornero permetterà un risparmio di spesa di quasi 80 miliardi di euro, anche se circa 12 se ne sono già andati per fronteggiare l’emergenza dei lavoratori cosiddetti esodati, finiti per effetto di accordi sindacali fuori dalle aziende e rimasti, con l’aumento dell’età pensionabile, anche senza l’assegno pensionistico.
Mantenere inalterata la riforma Fornero mentre ci si appresta ad aprire una trattativa non facile con Bruxelles per strappare margini di flessibilità nel rispetto dei parametri, significa per il governo presentarsi con il profilo del negoziatore affidabile. Anche il premier Renzi, dunque, avrebbe cambiato idea. O almeno allungato i tempi per realizzare quella che qualche mese fa era sembrata la sua proposta: «Se una donna a 62 anni preferisce stare con il nipotino rinunciando a 20-30 euro, allora bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa donna di andarsi a godere i nipotini». L’attenzione ai denari è prevalsa. Il ministro Padoan l’aveva in qualche modo preannunciato venerdì scorso in un’intervista al Quotidiano nazionale : «La flessibilità in uscita dal mondo del lavoro — aveva affermato — è importante ma non è detto che l’affronteremo quest’anno». Appunto. La via d’uscita sembra quella non di negare il problema (che ha anche effetti sull’occupazione bloccando una parte del turn over del personale nelle aziende come segnala ogni tre mesi l’Istat nelle sue indagini sulle forze lavoro) ma di rinviare la soluzione almeno di un anno quando le condizioni macroeconomiche potrebbero essere più favorevoli. I sostenitori della flessibilità in uscita sostengono che nel lungo periodo i costi si compensano perché introducendo delle penalizzazioni sull’assegno l’esborso per l’Inps è inferiore. Nell’immediato, però, i costi potrebbero impennarsi ed è questa prospettiva che il governo non è certo di poter fronteggiare. Resta così spiazzato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che anche ieri, sempre da Cernobbio, era tornato — per quanto assai cautamente — a indicare tra le opzioni possibili quella di introdurre criteri di flessibilità per consentire a determinate platee di lavoratori di abbandonare il lavoro prima di aver compiuto l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia (66 anni e sette mesi dal prossimo anno, per gli uomini e le donne del pubblico impiego e un anno di meno per le donne del privato). Poletti rappresenta l’anima dialogante del governo con sindacati e dissidenti del Pd. Ma anche questa volta la sua posizione è destinata a restare in minoranza.
Pensioni, il governo rinvia la flessibilità in uscita. Critici i sindacati: “E’ un errore”
Mancano le coperture e salta – almeno per quest’anno – l’annunciata flessibilità in uscita dal lavoro per correggere il ripido innalzamento dell’età pensionabile. L’anticipazione di Repubblica oggi in edicola ha messo sul piede di guerra i sindacati che all’unisono definiscono un errore il rinvio della flessibilità chiedendo che la norma venga inserita nella prossima legge di stabilità. Preoccupato anche il numero uno degli industriali, Giorgio Squinzi, che ammette: “Le coperture sono tutte da rivedere e da ricalcolare. Quindi non mi posso esprimere, comunque il problema è serio”.
Per la Uil, invece, “sarebbe letteralmente incredibile se il Governo rinviasse l’introduzione della flessibilità di accesso alla pensione ripetutamente annunciata negli ultimi mesi dal Presidente del Consiglio e dal ministro del Lavoro”. Per il segretario confederale, Domenico Poretti, “ci troveremmo di fronte al protrarsi di iniquità ed ingiustizie alle quali tutti dicono di voler porre rimedio”. Ancora più dura la Cgil secondo cui “è indispensabile che la legge di stabilità affronti il tema delle pensioni, introducendo quella flessibilità necessaria da un lato a dare risposte più eque a chi è in procinto di uscire dal mondo del lavoro e dall’altro in grado di consentire l’accesso allo stesso per i giovani. Le risorse, quando vi è l’intenzione, si cercano e si trovano”.
“Se non si consentono uscite graduali e flessibili si continua a bloccare l’accesso dei giovani al lavoro” dice Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil che poi aggiunge: “La priorità del Paese deve essere l’occupazione e sarebbe inaccettabile non affrontare oggi anche questo tema”. Anche per la Cisl, solitamente più conciliante con il governo, sarebbe un errore “rinviare ulteriormente l’introduzione della flessibilità di accesso alla pensione sulla base di un calcolo ragionieristico”. D’altra parte “le conseguenze dell’aumento repentino dell’età pensionabile, realizzato con la legge Fornero sono sotto gli occhi di tutti e il mantenimento della rigidità nell’accesso alla pensione rischia di riprodurre nuovi disagi economici e sociali, con effetti negativi sul funzionamento del mercato del lavoro, sulla produttività del sistema economico, e, indirettamente, sulla stessa finanza pubblica”.
Repubblica – 7 settembre 2015