Lo ha detto il ministro dell’Economia in un’intervista al Corriere della Sera dove ha parlato della necessità di nuovi tagli alla spesa pubblica: «Ma nessuno s’illuda che vengano fuori spese misteriose da tagliare senza che nessuno protesti». E annuncia la nomina di un nuovo commissario straordinario per la spending review. «Porteremo avanti il lavoro di Monti – ha detto ancora – ma esamineremo l’intera strategia e le procedure operative. Ad esempio i costi standard sono stato già applicati sulla spesa sanitaria ma non a quella delle Regioni a statuto speciale. Serve un intervento». E per farlo, assicura Saccomanni, agiremo con la collaborazione di tutti i diretti interessati: dai ministeri alle Regioni.
Ridurre la spesa pubblica prima di tutto. E poi verificare gli effetti di quella manovra a «costo zero» che il governo ha realizzato bloccando la prima rata dell’Imu sulla abitazione principale, impedendo l’incremento dell’Iva al 22%, offrendo incentivi sulle ristrutturazioni edilizie e aiuti alle zone colpite dal sisma.
Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non raccoglie gli attacchi di cui è stato fatto oggetto in questi giorni e scommette su una ripresa nella seconda metà dell’anno. I primi segnali ci sono già, osserva. E sui pagamenti della Pubblica amministrazione dice che una verifica sugli effetti verrà fatta a settembre: allora sarà possibile decidere se ci sono margini per ulteriori pagamenti rispetto a quelli già previsti.
Ministro Saccomanni, un anno fa la riforma Fornero diventava legge, il premier Mario Monti annunciava la spending review e lo spread era sopra i 400 punti. Oggi a che punto è il Paese?
«Ieri si è chiusa formalmente la procedura d’infrazione. Sul piano della credibilità abbiamo consolidato i progressi fatti dal governo Monti. Ma la credibilità non è qualcosa che si acquisisca per sempre, va alimentata tutti i giorni».
Non si può vivere di sola politica del rigore.
«Abbiamo un debito pubblico elevato che va onorato, perché ogni anno emettiamo 400 miliardi di titoli. Un obbligo che sarebbe lo stesso se non fossimo nell’Ue e non ci fosse il Fiscal compact, anzi sarebbe peggio, perché l’Italia dovrebbe conquistarsi da sola la credibilità sui mercati. Sappiamo che non basta: vogliamo rilanciare l’economia riducendo le tasse su lavoro e imprese. Non possiamo farlo aumentando il debito, quindi dobbiamo ridurre le spese, cosa che tutti i governi hanno provato a fare».
In che modo intendete ridurre la spesa?
«Il primo, più dannoso in fase recessiva, è ridurre gli investimenti, cosa che è stata fatta per molti anni. Noi vogliamo ridurre le spese correnti ma non è un lavoro che consenta nel giro di poche settimane di reperire miliardi di euro come se avessimo la bacchetta magica».
Perché?
«È il paradosso della spesa pubblica: sembra che non ci sia niente da tagliare su un totale di 800 miliardi del 2013, 725 al netto degli interessi. Tolti i redditi da lavoro, le prestazioni sociali, le altre spese correnti, quelle in conto capitale, gli interessi e il rimborso dei debiti, il totale su cui si può lavorare ammonta a 207 miliardi. Una cifra che è già calata dello 0,5% rispetto al 2012 e ben dell’8,5% rispetto al 2009».
La cura Monti ha funzionato?
«Molto è stato fatto con la revisione della spesa iniziata con Tommaso Padoa-Schioppa. Lo scorso governo si è concentrato sull’analisi e la valutazione della spesa ma ha avuto una battuta d’arresto con la crisi politica e la fine della legislatura».
Come pensate di organizzarvi e in che tempi?
«Riconvocheremo il comitato interministeriale per il controllo della spesa e avremo un commissario straordinario. Porteremo avanti il lavoro di Monti ma esamineremo l’intera strategia e le procedure operative. Ad esempio i costi standard sono stato già applicati sulla spesa sanitaria ma non quella delle Regioni a statuto speciale. Serve un intervento».
In che tempi?
«Agiremo con la collaborazione di tutti i diretti interessati: dai ministeri alle Regioni. C’è un nuovo Ragioniere generale, che viene da Banca d’Italia: Daniele Franco ha una profonda conoscenza di finanza ma anche di tecniche informatiche. Analizzeremo i tipi di spesa su cui intervenire più rapidamente, ma sia chiaro che tagli indolori non esistono».
Riprendete il lavoro di consulenti come Francesco Giavazzi?
«Certo. Ma nessuno s’illuda che vengano fuori spese misteriose da tagliare senza che nessuno protesti. Bisogna scandagliare settore per settore. Insomma non è possibile ridurre la spesa del 10% con un tratto di penna. E ci vuole tempo».
Nel frattempo il Paese è bloccato.
«Vorrei ricordare che abbiamo vissuto una fase di prolungata stasi politica, durata, a essere caritatevoli, almeno sei mesi, fino al maggio 2013. Questa stasi ha avuto un effetto paralizzante su investitori, consumatori e banche. Mi piacerebbe che se ne tenesse conto quando si giudica il lavoro che abbiamo fatto in 60 giorni».
Ma dopo la stasi, a maggior ragione il Paese chiede segnali positivi.
«I segnali positivi ci sono ma a volte le polemiche, anche dentro la coalizione, finiscono per dare l’impressione che la situazione continui a peggiorare. Non è così: il livello della produzione industriale si è stabilizzato. I dati di Confindustria segnalano un lieve recupero dell’attività in maggio. E poi ci sono i dati sulle aspettative delle imprese manifatturiere, i consumi elettrici aumentati, come il gettito dell’Irpef».
Non è ancora troppo poco?
«Gli impegni presi sui pagamenti della Pubblica amministrazione, gli incentivi per le ristrutturazioni, la rata Imu non pagata, il mancato aumento dell’Iva, i fondi per la cassa integrazione in deroga, quelli anticipati alle amministrazioni regionali, lo sblocco dei versamenti per il sisma, l’accelerazione nell’uso dei fondi strutturali, tutti questi interventi compongono una importante manovra di stimolo all’economia realizzata senza aumentare debito, in alcuni casi ricollocando fondi stanziati per altre finalità. Si tratta di una serie di misure-ponte che servono a guadagnare tempo: da un lato per il ridisegno della fiscalità e la revisione della spesa, dall’altro per l’alleggerimento del peso che grava sull’economia nel breve periodo, in attesa che si materializzino gli effetti delle misure adottate e si avvii la ripresa».
Rispetteremo il vincolo del 3%?
«Certo. Confidiamo nella ripresa nell’ultima parte dell’anno e in una riduzione della spesa per interessi sul debito pubblico rispetto alle previsioni. Tutto questo non deve farci dimenticare che abbiamo utilizzato uno 0,5% per pagare i debiti e siamo così vicini al tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. Bisogna perciò fare attenzione e muoversi con cautela».
Per questo avete caricato il mancato taglio dell’Iva sugli acconti?
«L’operazione costa un miliardo e l’alternativa era procedere subito con tagli di spesa indiscriminati. Si è preferito fare un anticipo degli acconti: può essere considerato un prestito dei contribuenti che a livello individuale ha un peso molto soft comunque compensato con minori versamenti al momento del saldo. Il Parlamento può decidere di cambiare le coperture purché siano certe. Non sarebbe stato credibile per l’Ue promettere a copertura un maggiore gettito futuro dell’Iva».
E sul pagamento dei debiti della PA alle imprese, qual è lo stato dell’arte? Non potrebbero essere una fonte di gettito Iva aggiuntivo?
«Entro settembre, in tempo per la legge di Stabilità, dovremmo avere un quadro affidabile del debito della PA, che finora è stato soltanto stimato, e potremo valutare l’effetto dei 40 miliardi di pagamenti – che corrispondono a una poderosa manovra, pari a quasi tre punti di Pil in 12 mesi – e se sarà possibile finanziare un’ulteriore tranche di pagamenti. Allo stesso tempo avremo anche una stima del gettito Iva addizionale».
C’è chi propone lo sforamento del 3% del rapporto deficit/Pil.
«L’Italia non sta cercando deroghe o sanatorie per sé, ma piuttosto di proporre una rimodulazione della strategia europea per gestire più efficacemente questa fase di crisi che si sta rivelando molto dura. I frutti di questo lavoro cominciano a vedersi con le importanti decisioni assunte dal Consiglio europeo di ieri, soprattutto nella lotta alla disoccupazione giovanile e nel sostegno alle piccole e medie imprese. Il momento per fare il punto sarà il Consiglio europeo di ottobre cioè, non a caso, dopo le elezioni tedesche. Allora il Consiglio valuterà se vi siano le condizioni per ulteriori misure di rilancio dell’economia europea».
Non si poteva chiedere più tempo come hanno fatto e ottenuto gli altri Paesi?
«Questa vulgata è sbagliata. La Francia ha ricevuto delle raccomandazioni molto più severe delle nostre, ad esempio deve fare una riforma delle pensioni che noi abbiamo già fatto. Le nostre riguardano azioni che sono state già in parte attuate».
Quali sono i prossimi passi?
«L’approvazione della delega fiscale che ha ottenuto in Parlamento una corsia preferenziale ci consentirà di riformare il Fisco, ad esempio partendo dal catasto. Non mi aspetto che tutto questo produca risorse maggiori ma avremo un Fisco più moderno e affidabile anche per gli investitori stranieri».
La riforma dell’Imu va fatta entro agosto?
«Come promesso. Faremo una cabina di regia coinvolgendo tutte le forze politiche della coalizione e le commissioni parlamentari. Stiamo predisponendo uno scenario di opzioni e ne discuteremo in maniera aperta: il governo vuole trovare larghe intese.».
La vicenda dei derivati ha gettato un’ombra sulla nostra credibilità? C’è il rischio di panico sui mercati?
«Non c’è stato alcun panico: le emissioni dei titoli sono andate bene e il nostro spread è sceso nuovamente a 280 punti. Gli strumenti di copertura dei rischi comportano ovviamente un costo. Che vale la pena di sostenere per riparare i conti pubblici dalle continue oscillazioni dei tassi di interesse. In prospettiva c’è un rischio concreto di rialzo dei tassi».
L’onorevole Brunetta sostiene che i conti pubblici siano opachi.
«L’Italia ha un grosso debito pubblico ed è obbligata a gestirlo nel modo più trasparente e professionale, dotandosi degli strumenti più adeguati di copertura del rischio. Di tutte le operazioni viene data informazione regolarmente alla Corte dei Conti».
Antonella Baccaro – Corriere della Sera – 29 giugno 2013
Tagli alla spesa, via alla fase 2 con sanità e aiuti alle aziende. L’ipotesi Giarda come commissario alla «spending review»
La sanità, con l’ipotesi di una centrale unica di acquisto a livello nazionale e l’estensione alle Regioni a statuto speciale del meccanismo dei costi standard per impedire che una siringa venga pagata due centesimi da una Asl e tre euro e mezzo da un’altra,come avviene oggi. La revisione degli aiuti pubblici alle imprese e delle agevolazioni fiscali, riprendendo in mano i dossier preparati per il governo Monti da Francesco Giavazzi e da Vieri Ceriani. Partirà da questi punti la spending review 2, la nuova fase di revisione della spesa pubblica del governo Letta, i tagli «non indolori» di cui parla il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
Sulla sanità, il primo passo arriverà a giorni quando il governo incontrerà le Regioni per definire il nuovo patto per la Salute, l’intesa con i governatori sui fondi e sul loro utilizzo. È stato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, la settimana scorsa, a parlare di un risparmio «totale di più di 10 miliardi», sostenendo che le risorse recuperate andrebbero comunque lasciate a disposizione per la sanità. Il risparmio complessivo si avrebbe comunque solo a regime, quindi solo in parte utilizzabile nell’immediato, nelle intenzioni del governo, ad esempio per le coperture dell’Imu e del nuovo rinvio dell’Iva, che da soli di miliardi ne valgono cinque. Bisogna prendere in mano anche altre leve. Cominciando dai dossier già pronti, almeno nella loro fase istruttoria. Per questo sul tavolo del governo è tornato il rapporto Giavazzi che rivede gli aiuti pubblici alle imprese. Qui i numeri diventano variabili perché già il governo Monti aveva rivisto al ribasso i vantaggi dell’operazione: da 11 miliardi si era scesi a tre e poi a 500 milioni. Ma qualcosa si può recuperare. Stesso discorso per le agevolazioni fiscali, quella lista di 720 sconti sulle tasse di cittadini e imprese sulle quali aveva lavorato il sottosegretario del governo Monti, Vieri Ceriani. Ogni anno le agevolazioni portano meno entrate allo Stato per 253 miliardi ma la maggior parte degli sconti sono intoccabili perché riservati alla fasce sociali deboli. Si può intervenire su alcune voci minori, che pesano poco sulle case dello Stato. Ma in tempo di caccia alle risorse anche questa strada sarà percorsa.
C’è poi il capitolo Province. Al momento il loro riordino è finito nel pacchetto delle riforma istituzionali all’esame della commissione di saggi. Ma non è da escludere che venga tirato fuori per procedere più velocemente. Il risparmio previsto dal progetto del governo Monti – che non le cancellava ma le tagliava da 86 a 51 – era stato fra i 370 e i 535 milioni di euro. Un intervento più deciso potrebbe fruttare ancora di più e i ministri Graziano Delrio e Gaetano Quagliariello hanno detto più volte che, così come sono, le Province saranno abrogate.
Scorrendo la lista delle priorità ci sono altri interventi. Sulla dismissione degli immobili pubblici, dopo un lungo iter è finalmente operativa a tutti gli effetti la Sgr, la società di gestione del risparmio che si occupa della questione. Con il mercato immobiliare in crisi, la vendita è un’opzione possibile ma ottimistica. E per questo si punterà sulla valorizzazione degli immobili, cioè darli in affitto, oppure sulla loro razionalizzazione, utilizzandoli per uffici pubblici che oggi sono in affitto e quindi riducendo comunque la spesa pubblica. La lente finirà anche sui trasporti, esaminando con attenzione i contributi che oggi vanno sia alle ferrovie sia al trasporto pubblico locale. Mentre sulle privatizzazioni, in realtà, l’ultimo passo il governo l’ha fatto indietro. Nel decreto del fare è stato rinviato di sei mesi, fino a fine anno, il termine per chiudere e mettere a gara le 3 mila società partecipate da Comuni e Province. Danno lavoro a 200 mila persone e le possibili ricadute occupazionali, in un momento come questo, hanno spinto il governo alla proroga. La cessione era prevista proprio dalla prima spending review, quella del governo Monti. E questo lascia capire quanto possa essere ampio lo scarto tra le intenzioni e i risultati.
Dice l’ex ministro Piero Giarda, che sulla sua spending review ha depositato tre mesi fa un corposo documento arrivato sul tavolo del nuovo governo: «La revisione della spesa pubblica è un progetto che richiede tempo sia per essere progettato che per essere realizzato. Ottenere risparmi immediati non è semplice. E poi deve essere costante, non uno stop and go come si è fatto in Italia». Il nome di Giarda viene dato in pole position per il ruolo di nuovo commissario alla spending review: «Se me lo dicono ci penserò. Io al momento sto studiando la più bella legge Finanziaria mai fatta in Italia. Quintino Sella, 1870».
Lorenzo Salvia – Corriere della Sera – 30 giugno 2013