In futuro avvocati, medici, consulenti del lavoro, geometri, farmacisti, veterinari, ingegneri e architetti, agenti di commercio, dovranno lavorare di più per guadagnarsi la pensione. E in molti casi versare contributi più salati. Poggiano su queste due leve le riforme approvate dalle casse di previdenza privatizzate (di cui al dlgs 509/94) per rispettare il requisito della sostenibilità a 50 anni previsto dalla riforma Monti Fornero (legge 214/2011). Il termine previsto per inviare i bilanci tecnici con le proiezioni attuariali che dimostrano l’equilibrio cinquantennale fra entrate per contributi ed uscite per prestazioni scade proprio oggi 30 settembre. Leggi di seguito le linee della riforma Enpav
E tranne quello dei ragionieri, tutti gli altri enti più esposti sul fronte della sostenibilità di lungo periodo hanno approvato negli ultimi mesi una serie di interventi che in certi casi sono stati radicali. Passaggio automatico al metodo contributivo come sanzione per quegli istituti pensionistici non in grado di garantire i cinque decenni di solidità
Approfondimento. La Previdenza dei Professionisti. Così le nuove regole delle casse private
Oggi scade il termine, fissato dal ministro Elsa Fornero, per le casse private che avrebbero dovuto dimostrare la sostenibilità del loro bilancio per i prossimi 50 anni. Esame superato per tutte. Il sistema di previdenza privata si è riformato (anche a prezzo di qualche sacrificio e di diverse battaglie interne) e alla fine prova di poter reggere (in equilibrio tra entrate e uscite) fino al prossimo mezzo secolo. Oggi però non è solo il termine ultimo per la riforma del sistema pensionistico ma anche del primo versamento allo Stato in seguito all’applicazione della spending review. Le casse private infatti rientrano nella lista Istat usata per individuare quegli enti (ci sono anche l’Agcom e l’Authority per l’Energia) che dovranno tagliare le loro spese e versare il risparmio nelle casse dello Stato. «Abbiamo già fatto ricorso al Consiglio di Stato per essere stati indebitamente inseriti nella lista Istat – ricorda Andrea Camporese, presidente dell’Associazione degli enti previdenziali privati -. Temiamo anche che ci sia un corto circuito tra due fonti normative: la legge che ci chiede il versamento di quanto risparmiamo con il taglio del 5% dei costi intermedi entra in conflitto con la legge istitutiva delle casse che garantisce assoluta autonomia. Quindi non si tratta di non voler essere utili al Paese, esistono altre formule che abbiamo già proposto e attuato, ma semplicemente noi non possiamo stornare i versamenti dei nostri iscritti per fini non previsti dalla legge istitutiva».
Il test di sostenibilità
Proprio una legge (la 509/1994) è alla base della riforma richiesta dal ministro Fornero: la richiesta della sostenibilità di bilancio a 50 anni è rivolta alle dieci casse che furono privatizzate con quel decreto legislativo. Fino all’anno scorso tutte (tranne quella dei commercialisti) applicavano il sistema pensionistico retributivo, quello che garantisce una pensione più alta, ma mette a maggior rischio la tenuta del sistema. Le casse istituite con il decreto 103/1996 infatti utilizzano il contributivo puro (la pensione ricevuta sarà pari ai versamenti effettuati). Obiettivo del ministro Fornero fu subito quello di mettere in sicurezza il sistema per i prossimi 50 anni per evitare che poi dovesse toccare allo Stato ripianare eventuali fallimenti. E, per riuscirci, le dieci casse della 509 hanno dovuto riformarsi profondamente. Non a caso, chi non fosse riuscito a provare la propria sostenibilità di bilancio, sarebbe passato (d’ufficio) al contributivo puro (scelta effettuata da Inarcassa, dove confluiscono architetti e ingegneri).
Le varie casse hanno scelto percorsi diversi per dimostrare la propria solidità di bilancio: il sistema contributivo pro rata (o retributivo misto) è quello più gettonato. Lo hanno adottato i geometri, i consulenti del lavoro, i giornalisti, i medici, i veterinari e i commercialisti (quelli iscritti prima del 2004). Tutte queste categorie hanno modificato il retributivo senza però applicare il contributivo puro: il sistema più diffuso è quello di fare una media della retribuzione durante la carriera per definire l’assegno pensionistico. Un bel salto rispetto al retributivo che invece utilizzava l’ultimo stipendio e lo moltiplicava per il numero di anni maturati.
L’età del ritiro
È l’età una delle leve più importanti utilizzate per mettere in sicurezza il sistema. Il meccanismo entrerà in vigore il primo gennaio 2013. Gli avvocati e i consulenti del lavoro hanno portato a 70 anni l’età pensionabile, invece hanno scelto di fermarsi a 68 anni le professioni di area sanitaria: i farmacisti, i medici, i veterinari con l’aggiunta dei ragionieri. I più longevi saranno i notai che hanno fissato a 75 anni il raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia. I più giovani saranno i giornalisti che hanno mantenuto l’età pensionabile a 65 anni per gli uomini mentre le donne saliranno progressivamente da 61 a 65 anni. Per i geometri, invece, l’età per andare in pensione sarà di 67 anni per chi opta per il calcolo pro rata e di 70 anni per chi sceglie il retributivo. Per questa categoria la riforma partirà nel 2014 e andrà a regime nel 2019.
I veterinari. Queste le linee della riforma approvata dall’Enpav
Il calcolo della media dei redditi per determinare l’importo della pensione, verrà effettuato arrivando progressivamente a considerare i migliori 35 redditi dichiarati durante tutta la vita contributiva (attualmente si calcolano i migliori venticinque sugli ultimi trenta anni). Anticipazione al 1° gennaio 2013 dell’applicazione dei coefficienti di neutralizzazione sulle pensioni anticipate, previsti per l’anno 2017.
A decorrere dall’anno 2014, innalzamento a 62 anni dell’età anagrafica minima per il pensionamento di vecchiaia anticipato, in linea con il sistema pensionistico generale e con l’allungamento dell’aspettativa di vita. Innalzamento del reddito massimo pensionabile a € 90.000, ampliando la fascia dei redditi dell’ultimo scaglione di riferimento per il calcolo della pensione. Questo provvedimento avrà efficacia dai redditi prodotti nell’anno 2013.
A decorrere dall’anno 2013, riduzione della perequazione annuale al 75% dell’inflazione per le pensioni in pagamento. Rimane la rivalutazione piena per le pensioni il cui importo minimo è previsto dal Regolamento. Questa misura è tesa a ridistribuire i sacrifici anche su coloro che già godono di un trattamento pensionistico e che stanno beneficiando di pensioni adeguatamente remunerate. Su richiesta dell’Assemblea, il Consiglio di Amministrazione ha esplicitamente assunto l’impegno di monitorare con attenzione la necessità di mantenere la perequazione in misura ridotta, tendendo al ripristino di una perequazione al 100%, ove i parametri della sostenibilità lo consentiranno.
Incremento graduale di mezzo punto percentuale all’anno, della percentuale del contributo soggettivo fino al 22% che sarà raggiunto nell’anno 2033. Rappresenta una continuità con la precedente riforma, che già prevedeva di arrivare al 18%, salvo che per la stabilità a cinquanta anni è stato necessario arrivare ad una percentuale più elevata. E’ stato testato che vi sia una remunerazione vantaggiosa dei versamenti anche con la massima contribuzione del 22%. Incremento del contributo integrativo al 3% nell’anno 2027 e al 4% nell’anno 2030.
I commercialisti
Meritano un discorso a parte i commercialisti. Si tratta della categoria che ha innovato per prima il proprio sistema previdenziale e oggi si ritrova con due modelli: per chi si è iscritto prima del 2004 il sistema di calcolo è misto, l’età pensionabile è di 68 anni (per chi ha 33 ani di contributi) o di 70 anni (per chi ne ha 25 di versamenti). Agli iscritti dopo il 2004 si applica, invece, il contributivo puro: «Proprio questa differenza ci ha creato qualche problema – spiega Walter Anedda, presidente della cassa -. Il sistema contributivo, infatti, è quello applicato ai giovani e per sua natura è quello che garantisce pensioni meno ricche. Per cercare di aumentare la rata abbiamo destinato una parte della quota del versamento integrativo per elevare la pensione. Insomma, più si versa di contributo soggettivo più sale l’integrativo e quest’ultimo verrà utilizzato per far crescere la pensione dell’iscritto e non più convogliato nella cassa comune».
Gli avvocati
La Cassa forense è tra quelle che ha effettuato una riforma profonda e incisiva. Gli avvocati hanno dovuto fronteggiare una duplice emergenza: da diversi anni precipita il fatturato medio della categoria che quindi versa sempre meno, mentre cresce il numero dei pensionati. Questo ha portato a un aumento della quota minima del versamento e una maggiore richiesta di solidarietà a chi è già in pensione. «In effetti la nostra categoria sta attraversando un momento economico molto difficile – conferma Alberto Bagnoli, presidente di Cassa forense -. Con la riforma abbiamo portato a 70 anni l’età pensionabile, ma non siamo passati al contributivo puro perché per mantenere i conti in equilibrio avremmo dovuto raddoppiare l’aliquota e in questa fase storica sarebbe stato improponibile. Abbiamo anche elevato il contributo di solidarietà dei pensionati che lavorano dal 5 al 7% e per chi è in attività e dichiara più di 100 mila euro il contributo è del 3%».
I medici
Quando fu chiaro che la richiesta di sostenibilità era a 50 anni, quella dei medici era considerata la cassa più a rischio. All’interno dell’Enpam, infatti, convivono tre anime: quella dei medici di medicina generale, quella degli specialisti ambulatoriali e quella dei liberi professionisti (tra cui i dentisti). «Non era facile armonizzare tutte le categorie – ammette Alberto Oliveti, presidente della cassa – L’età pensionabile salirà progressivamente fino a raggiungere i 68 anni nel 2018 mentre chi vorrà andare in pensione anticipata dovrà attendere fino ai 62 anni, contro i 58 attuali. Abbiamo ridotto la valorizzazione dei contributi incassati, mentre l’aumento contributivo è bloccato fino al 2015, visto che solo allora scadono le convenzioni con lo Stato. Non bisogna dimenticare, infatti, che una larga fetta dei nostri medici è dipendente statale. Non a caso per i liberi professionisti e per gli specialisti ambulatoriali abbiamo previsto un’aliquota più alta, fino al 33%».
Le casse, dunque, superano i primi esami che però, come noto, non finiscono mai.
Isidoro Trovato – Corriere della Sera – 30 settembre