di Rosaria Amato. La riforma del lavoro potrebbe prevedere un contributo di solidarietà sulle “pensioni d’oro”, a sostegno dei lavoratori esodati. L’ipotesi è allo studio, conferma il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba: «Dovremo fare un intervento legittimo (in modo che non venga bocciato dalla Consulta), ed equo: ovvero chi ha redditi da pensione particolarmente alti attraverso un contributo sostiene gli interventi a favore di coloro che non hanno né salario né pensione». Non è ancora stabilito a partire da quale cifra scatterà il contributo: da ambienti vicini al ministero si apprende che «chi ha una pensione modesta, fino a 1500, 2000 euro al mese, certo non potrà essere chiamato a versare questo contributo». Sull’ipotesi interviene oggi Dario Di Vico sul Corriere della Sera con un corsivo dal titolo eloquente: “Lasciate in pace il ceto medio”
«Le pensioni d’oro sono poche, la maggior parte dei pensionati prende un assegno da 800 euro bloccato da 16 anni e non ha neanche avuto il contributo di 80 euro», obietta Annamaria Furlan, segretario generale aggiunto Cisl. E a proposito dell’articolo 18, osserva che «tutto questo discutere da parte della politica è assurdo, e con tre milioni di disoccupati e il 50% dei giovani senza lavoro è anche stucchevole. I veri problemi sono la mancanza e la precarizzazione del lavoro». «La questione non è quello di diminuire, ma semmai di estendere a tutti i lavoratori le tutele dell’articolo 18 — dice Serena Sorrentino, segretario confederale Cgil — Noi siamo favorevoli alla sperimentazione del contratto a tutele crescenti, ma sarà una vera innovazione solo se il governo lo introdurrà sostituendolo alle oltre 40 forme contrattuali esistenti». Anche il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy guarda con favore alla riforma: «Senza l’economia che tira ogni discussione rischia di essere velleitaria. Detto questo, noi siamo per la semplificazione, seguita però da scelte chiare: bisogna evitare l’eccesso di flessibilità. Oggi per le imprese il contratto a termine è troppo facile, troppo conveniente». Un’osservazione condivisa da Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione Lavoro della Camera: «Dobbiamo far sì che il contratto a tutele crescenti sia più conveniente di quello a termine, se non vogliamo che anziché i contratti a progetto e le partite Iva fasulle divori il contratto a tempo indeterminato.
Come? Rendendo strutturale una diminuzione consistente dell’Irap a favore di chi trasforma i contratti a termine in tempi indeterminati. Lo sconto ci sarà anche per il periodo di prova, ma scatterà solamente con la stabilizzazione. E dopo, stesse tutele per tutti». (Repubblica – 18 agosto 2014)
L’IPOTESI GUTGELD: TAGLIO DEL 10% E BLOCCO DELLA RIVALUTAZIONE SOPRA 3.500 EURO
Alessandro Barbera. Dodici miliardi degli oltre ottocento del bilancio pubblico sono solo una piccola frazione del mare magnum della spesa italiana. Eppure reperire una cifra simile dal bilancio dello Stato per la manovra d’autunno del governo Renzi non è semplice. Dai palazzi trapela l’intenzione di rivedere il sistema dei trasferimenti alle imprese pubbliche come Fs, Poste e le aziende di trasporto locale, di mettere mano alla giungla delle partecipate che pesano sul bilancio di Comuni e Regioni. Ma per raggiungere numeri come quelli di cui il governo ha bisogno ci vuole un impegno eccezionale. Per vederli in concreto, alcuni tagli richiedono tempo. Inoltre, se non si interviene su altre voci di spesa – vedi la sanità – i numeri non torneranno comunque. Non c’è sconto da parte dell’Europa che possa cambiare lo scenario: per finanziare la conferma del bonus da ottanta euro e il taglio dell’Irap sono necessari almeno dieci miliardi, niente a che vedere con l’impegno ulteriore che l’Europa ci chiede per ridurre il debito. Ecco perché con il passare dei giorni prendono corpo anche interventi diversi, come il taglio delle agevolazioni fiscali e delle pensioni più alte.
Della prima ipotesi si sa che si inizierà dalle voci meno sensibili: dall’abolizione delle agevolazioni fiscali per le spese cimiteriali a quelle per le spese veterinarie e le palestre. La seconda è stata ipotizzata pubblicamente da due ministri – Padoan e Poletti – e potrebbe costare un taglio della pensione a tutti coloro che percepiscono un assegno calcolato attraverso il sistema retributivo superiore a una certa soglia.
Quale soglia? A Palazzo Chigi e al Tesoro prevale la prudenza: «Vedremo, discuteremo, c’è ancora tempo». Ma è pur vero che Renzi una ipotesi pronta sul tavolo l’ha da più di un anno. L’ha formulata uno dei suoi consiglieri, l’ex partner di McKinsey – e ora parlamentare Pd – Yoram Gutgeld. A luglio dell’anno scorso fu proprio il premier a parlarne in una intervista a Enrico Mentana, quando ancora il sindaco di Firenze aspirava alla guida del partito. L’ipotesi, tuttora in piedi, è di chiedere un contributo di solidarietà del dieci per cento e un blocco della indicizzazione biennale a coloro i quali percepiscono una pensione con il sistema retributivo superiore ai 3.500 euro al mese. La ratio della proposta è semplice: questi pensionati ricevono una pensione ben più alta di quella percepita da chi è andato in pensione dopo la riforma Dini del 1996, che ha progressivamente eliminato quel tipo di trattamenti. Il sistema retributivo permetteva di ottenere una pensione sulla base dell’ultima busta paga; di qui il malcostume, allora in voga in ministeri e uffici pubblici, di concedere scatti di carriera a pochi giorni dall’uscita dal lavoro. Oggi, con il sistema contributivo, il calcolo della pensione viene fatto tenendo conto dei contributi effettivamente versati. Ma la stortura generazionale causata dai generosi assegni di una volta è intatta. Ancora oggi – lo ricordavano pochi mesi fa su lavoce.info Fabrizio e Stefano Patriarca – al cinque per cento dei pensionati più ricchi (800mila su un totale di 16 milioni) va più del 16 per cento del totale della spesa per pensioni: 43 miliardi su 270.
Che ci sia la necessità di riequilibrare il sistema pensionistico lo ha scritto Carlo Cottarelli nel suo rapporto sulla spending review. Fra contributi di solidarietà («per il 15 per cento dei pensionati), blocco delle indicizzazioni, aumento di un anno dell’anzianità delle donne e revisione delle pensioni di reversibilità Cottarelli calcolava che era possibile risparmiare 1,8 miliardi nel 2014, 2,4 nel 2015, 3,4 nel 2016. Con un ma: le sentenze della Corte Costituzionale che hanno bocciato gli ultimi contributi di solidarietà sui redditi più alti varati dai governi Berlusconi e Monti. Se non vorrà incorrere in una nuova bocciatura, il governo dovrà evitare tagli solo ad alcune categorie di pensionati e riutilizzando almeno parte dei fondi all’interno del sistema previdenziale, ad esempio per mandare in pensione gli esodati. ( La Stampa – 18 agosto 2014)
LASCIATE IN PACE IL CETO MEDIO. SE L’ASTICELLA SI FERMA PROPRIO LÌ
di Dario Di Vico. La parola chiave della politica sociale di metà agosto è «asticella». L’ha usata ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervistato sul Corriere da Enrico Marro. Si discuteva di un (non tanto) ipotetico contributo di solidarietà (slittamento lessicale che sostituisce la parola «tassa») a carico delle pensioni alte ed è rispuntato un progetto e un vecchio dilemma dei governi succedutisi in questi tribolati anni. Se il contributo di solidarietà lo si carica sugli assegni mensili veramente d’oro e d’argento le risorse che si rastrellano per questa via alla fine sono poche, assomigliano dal punto di vista del bilancio dello Stato a briciole. Se invece l’asticella ministeriale del prelievo viene collocata più in basso ecco che la platea dei colpiti diventa molto più larga e si raccoglie decisamente di più. Il guaio è che in questo modo non ci si limita a sforbiciare i redditi dei superburocrati che godono di una pensione aurea ma si tassa di nuovo una parte significativa del ceto medio.
Il governo Renzi ha scelto questa strada? La tesi di un prelievo con asticella bassa nel dibattito di politica economica viene in genere attribuita al deputato Yoram Gutgeld, renziano della seconda ora che in passato aveva immaginato un contributo del 10% sulle pensioni superiori a 3.500 euro per un incasso totale di 3,3 miliardi. Dopo essere stato per un lungo lasso di tempo in ombra, Gutgeld dovrebbe essere il perno della squadra di economisti che Matteo Renzi vuole vicino a sé da settembre a Palazzo Chigi e non è un caso, dunque, che i ministri ricomincino a ventilare l’ipotesi del contributo di solidarietà. Gutgeld è un ex manager di punta della società di consulenza McKinsey ed è naturale quindi che nella sua formazione economico-culturale prevalga un’impostazione di tipo illuministico, sorprende caso mai che Renzi, attentissimo al consenso popolare, la faccia propria. Una nuova tassa che colpisca il ceto medio, seppur la sua porzione relativamente più agiata, riporterebbe indietro le lancette dell’orologio del Pd.
I democratici sarebbero risospinti nel solco della tradizione della sinistra italiana poco attenta ai mutamenti di opinione del ceto medio tartassato.
Attenzione, però. Già nei giorni scorsi le cronache hanno registrato un repentino cambio di umore a Nord Est con un sondaggio secondo il quale anche gli artigiani veneti — che pure avevano votato e si erano spellati le mani per Renzi — cominciano a nutrire dubbi sull’efficacia della sua azione. Il segnale, per quanto agostano, non va sottovalutato: vuol dire che i disillusi non albergano solo tra le élite. Ma al di là delle considerazioni che attengono al campo dei sondaggi e degli indici di popolarità, aprire uno scontro con il ceto medio proprio ora, alla ripresa delle attività dopo la breve pausa estiva, sarebbe un errore grossolano. Il Paese ha bisogno di un semestre di mobilitazione per la crescita, di sforzi sinergici tra azione di governo e sentimento della società civile. Gli 80 euro in busta paga devono servire a far riprendere i consumi e rianimare la boccheggiante domanda interna. Se invece alla fine a dominare la comunicazione dovesse essere ancora una volta la parola «tasse» saremmo punto e a capo. Saremmo pronti per organizzare il Festival della Depressione.
Dario Di Vico – Il Corriere della Sera – 18 agosto 2014