Quattro comparti, ma con una riforma in più tempi per accorpare prima gli aspetti più semplici da gestire, per esempio le ferie o le regole sulle assenze, e poi quelli più complicati, a partire dai livelli retributivi. Potrebbe essere questa la strada per uscire dall’impasse sulla riforma dei comparti, tappa preliminare indispensabile per far ripartire i rinnovi contrattuali nel pubblico impiego. A questa ipotesi sta lavorando l’amministrazione, e occorre vedere quale sarà la sua accoglienza da parte sindacale: il prossimo appuntamento, dopo quelli “interlocutori” delle scorse settimane, è in programma per giovedì. «L’obiettivo ragionevole – ha spiegato Sergio Gasparrini, presidente dell’Aran, nel convegno in occasione dell’assemblea annuale dell’Unione degli avvocati degli enti pubblici (Unaep) – è arrivare a un’intesa entro gennaio», ma per farlo occorre trovare soluzioni in grado di smussare gli angoli contro i quali si è finora incagliata la trattativa.
Tramontata l’ipotesi di dividere i dipendenti pubblici in tre famiglie, l’architettura che giovedì 17 dicembre finirà sul tavolo del confronto poggia su quattro comparti: oltre a quelli di scuola e sanità, già individuati in virtù delle specificità di questi settori, è previsto il comparto della Pa statale e quello dei «poteri locali». In questa geografia, il carico di novità più rilevante riguarda, com’è ovvio, il super-comparto statale, che dovrebbe riunire sotto lo stesso tetto realtà ora sepatate come i ministeri, le agenzie fiscali, palazzo Chigi e così via. Qui ci sono ovviamente le incognite più importanti, perché in questi anni storie contrattuali autonome hanno prodotto regole e livelli retributivi diversificati.
Sono due gli strumenti utilizzabili per superare il problema ed evitare che i rinnovi contrattuali rimangano bloccati sull’ostacolo dei comparti. Il primo è appunto rappresentato da un’unificazione progressiva, che guardi prima alle regole di base del rapporto di lavoro e solo in seguito ragioni anche di tabellari e retribuzioni. Tabelle della Ragioneria generale alla mano, del resto, le retribuzioni medie delle aree più “ricche” della Pa centrale viaggiano a livelli superiori anche del 50% rispetto a quelle dei ministeri, e con 300 milioni sul piatto un avvicinamento in tempi brevi è impensabile. Ma oltre agli stipendi, le differenze riguardano anche istituti contrattuali delle singole Pa, e per gestirle si studia l’ipotesi di articolare il “compartone” in sezioni. Proprio il caso degli avvocati pubblici, che nella maggioranza dei casi lavorano negli enti locali, mostra però che le «professionalità specifiche» esistono anche negli altri comparti, per cui l’idea delle sezioni potrebbe avere un’applicazione più ampia.
Naturalmente su tutto l’impianto pesa l’incognita delle risposte da parte dei sindacati, che hanno bocciato i 300 milioni destinati dalla manovra ai rinnovi (il ministro della Pa, Marianna Madia, ha ipotizzato futuri aumenti di fondi in caso di crescita più sostenuta dell’attuale) e nei nuovi comparti vedranno ridursi il numero delle sigle «rappresentative» e quindi ammesse ai tavoli di trattativa e alla distribuzione di deleghe e permessi.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 15 dicembre 2015