di Maurizio Dianese. Mentre riparte, come ogni anno, il tormentone estivo sulle chiusure di alcuni reparti negli ospedali più piccoli – sarà per sempre? sul serio si tratta solo di smaltimento ferie? – in Regione ci si prepara già alla vera battaglia, quella sulla riorganizzazione delle Unità sanitarie locali. Che il presidente del Veneto, Luca Zaia, vuol ridurre del 50 per cento. Ma in ballo non c’è solo questo. «Il disegno di legge presentato da Zaia – spiega il consigliere regionale del Pd, Bruno Pigozzo – è formato da due parti, una riguarda la proposta di accorpare le Ulss su base provinciale per cui si passerebbe dalle 21 Ulss attuali a 7, una per provincia. Più le 3 Aziende speciali, che però ci sono già adesso e cioè gli ospedali di Padova e Verona – perchè legati all’università – e l’Istituto oncologico». Sette più 3 fa 10. Contro le 21 più 3 di adesso.
Vuol dire, come minimo, risparmiare un paio di milioni di euro all’anno solo abolendo gli stipendi delle 13 direzioni strategiche delle Ulss che chiudono i battenti – basti dire che un Direttore generale viaggia sui 150 mila euro all’anno e gli altri dirigenti non guadagnano di meno. Ma fin qui è facile essere d’accordo con Zaia, anche perchè le Ulss su base provinciale possono permettere di risolvere facilmente quei conflitti di campanile che ancora oggi sono all’ordine del giorno per cui nessuno vuole che si chiuda l’ospedale che ha sotto casa, anche se è pericoloso visto che, sotto un certo numero di prestazioni, comunque il paziente è a rischio di errore medico. «Ma, per tornare alla proposta Zaia, io sono preoccupato più dalla parte in cui si parla dell’Ulss Zero. Si tratta di una Super Unità sanitaria locale che non solo dovrebbe provvedere agli acquisti e agli appalti, ma anche, di fatto, alla programmazione sanitaria – spiega Pigozzo – Significa che si potrà fare a meno di ascoltare i territori e cioè i cittadini e i sindaci, ma anche il Consiglio regionale e addirittura la Giunta regionale. Deciderà tutto il presidente Zaia assieme al Direttore generale di questa Ulss speciale. Non mi va bene».
Pigozzo è decisamente preoccupato e pronto a dare battaglia a partire da settembre, quando la discussione sulla riorganizzazione della sanità veneta entrerà nel vivo. Intanto Ferragosto, come al solito, sta portando qualche sorpresa. Prendiamo Portogruaro, dove il Punto nascita chiude i battenti ufficialmente per carenza di personale e ferie da smaltire. Riaprirà mai? Dario De Rossi della Cisl sanità avverte: «Attenzione che se chiude Portogruaro il rischio è che i cittadini vadano a far nascere i loro figli a Pordenone». Dunque, secondo De Rossi bisogna stare attenti a quel che si fa nel Veneto Orientale, anche se i punti nascita con meno di 500 parti vanno chiusi, stando all’accordo Stato-Regioni del dicembre 2010, perchè pericolosi per mamme e bambini. Portogruaro fa poco più di 400 parti all’anno. Come Venezia, peraltro, che ne fa ancora meno di Portogruaro.
E la Cardiochirurgia di Mirano? Anche quel reparto chiude i battenti per agosto, come ogni anno, ma stavolta la chiusura dovrebbe essere sul serio definitiva. «Mirano da vent’anni è alle prese con quello che è un buon reparto, d’accordo, ma senza alcun senso logico visto che c’è Cardiochirurgia a Mestre, cioè a meno di due passi da Mirano – ragiona De Rossi – Della chiusura di Mirano, tra l’altro, sento parlare da vent’anni e non è da ieri che le schede regionali prevedono la Cardiochirurgia solo a Mestre. Nonostante questo vedo tante prese di posizione contrarie, come se si trattasse di una novità. Credevo vent’anni fa e lo credo tutt’ora che abbia senso fare gli interventi a Mestre e l’ambulatorio e la riabilitazione a Mirano. Anche per motivi di sicurezza».
De Rossi è uno dei pochi, forse l’unico sindacalista, che ha il coraggio di dire chiaramente che gli ospedali piccoli possono essere rischiosi per i pazienti. Chi fa 50 anestesie all’anno o 30 interventi chirurgici all’anno è probabile che sbagli di più. Non è certo, ma è molto probabile. Dunque, quando si è sotto gli standard, è meglio chiudere, spiega De Rossi, a meno che di mezzo non ci siano considerazioni diverse, come a Portogruaro, dove si rischia di non risparmiare chiudendo.
Ma torniamo a Cardiochirurgia che Mirano finora ha difeso con le unghie e con i denti. L’Organizzazione mondiale della sanità prevede un reparto di Cardiochirurgia ogni 2 milioni e mezzo di abitanti.
Attualmente c’è una Cardiochirurgia a Padova, un’altra a Verona, una a Vicenza e un’altra a Treviso e due nel Veneziano, a Mestre e a Mirano, per poco più di 5 milioni di utenti. Anche prendendo per buoni i parametri, ben più favorevoli, del Ministero della salute, il bacino di utenza minimo di una Cardiochirurgia deve essere di 600mila abitanti e infatti non è un mistero che la Regione abbia in mente di creare un unico grande reparto a cavallo tra le province di Padova, Treviso e Venezia. Ma sarà difficile che Padova rinunci ad essere la prima della classe, così come Treviso e dunque ad un reparto unico non si arriverà mai. Pensare che la Cardiochirurgia di Mestre in questo momento sta facendo le performances migliori almeno per quanto riguarda le sostituzioni o le riparazioni valvolari e che con Mirano potrebbe diventare in assoluto la prima Cardiochirurgia del Veneto, se Mirano non si ostinasse a tener duro e facesse “squadra”.
Ma mentre si discute del singolo reparto, sta per andare in scena la più grande riorganizzazione della sanità degli ultimi vent’anni, con l’accorpamento delle Ulss, la centrale unica per acquisti e appalti, la programmazione sanitaria saldamente in mano al Governatore del Veneto e sottratta ai territori, con i Direttori generali – ma qualcuno lo fa già da sempre – che fanno i bravi soldatini ed eseguono solo gli ordini. Di tutto questo si inizierà a discutere a settembre visto che Luca Zaia vuole far diventare operativa la sua riforma entro il 1° gennaio 2016. E di tutto questo farebbero bene ad occuparsi i sindaci e le forze politiche invece di perdere tempo sul singolo repartino.
Il Gazzettino – 13 agosto 2015