di Francesco Spinazzola*. I recenti focolai di influenza aviaria da H7N9 e di MERS CoV (la nuova SARS) verificatisi in Cina e Medio Oriente rispettivamente, hanno riscosso un certo interesse nella stampa e destato un moderato allarme nell’opinione pubblica e soprattutto nei viaggiatori diretti in quelle destinazioni. Ma l’interesse e l’allarme sono proporzionati alle reali dimensioni della minaccia? Cioè, in altre parole dobbiamo aspettarci che questi focolai possano sconfinare dai limiti geografici e diventare delle pandemie? E attraverso quali meccanismi un virus può divenire il protagonista di una pandemia? Un pandemia è un’epidemia la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata.
Come sottolineano Morens, Taubenberger e Fauci sul New England Journal of Medicine i virus nel loro cammino evolutivo spesso si trovano di fronte ad un bivio. Se deviare verso una virulenza spiccata oppure proseguire nella propria “innocente” esistenza.
Il discorso si ricollega più direttamente alla Influenza aviaria, che alla MERS CoV, però le analogie con la storia naturale di questa e di altre infezioni sono evidenti. In concreto il virus dell’influenza aviaria, per poter effettuare il salto di specie dagli uccelli all’uomo, e successivamente manifestare la capacità di divenire “pandemico” dovrebbe in teoria essere associato a mutazioni dell’emoagglutinina (HA), che è il recettore che si lega alle cellule epiteliali umane, e della polimerasi, al fine di garantire una più efficiente replicazione nelle cellule umane.
In realtà manca una ferma evidenza scientifica per tale cammino lineare e ben definito. Dal 1918 è stata documentata la nascita di quattro virus pandemici, ma gli scienziati non hanno trovato nessuna evidenza in questi virus di un meccanismo mutazionale diretto del tipo descritto. Mentre per converso, molti virus aviari hanno infettato gli esseri umani e rapidamente sviluppato tali mutazioni senza dar luogo a pandemia.
La domanda cruciale ma al momento senza risposta è se tutti i virus dell’influenza aviaria sono potenzialmente capaci di infettare gli esseri umani, potendo acquisire mutazioni seriali generatrici di pandemia, senza essere limitati da vincoli evolutivi strutturali o funzionali, o se i virus pandemici sono entità rare le cui complesse costellazioni genetiche sono molto difficili a realizzarsi, se non attraverso rari e ancora oscuri meccanismi.
Quello che sappiamo è che gli esseri umani, che possono essere facilmente infettati con virus dell’influenza aviaria A in sede sperimentale, sono naturalmente e ripetutamente esposti a e spesso infettati da molti di questi virus aviari senza che si generino pandemie, come evidenziato da molteplici focolai e cluster di casi, nonché dalle ricerche sieroepidemiologiche.
Se l’esposizione potenziale al rischio allora è così alta, l’adattamento del virus alla specie umana in modo pieno e la possibilità di generazione di un pandemia risiederebbe nella altamente improbabile contemporanea manifestazione di una costellazione di mutazioni che dovrebbero risultare ben in equilibrio fra loro e mutuamente cooperanti a favorire le caratteristiche di virulenza e di riproduzione del virus.
In realtà sappiamo che le combinazioni antigeniche che hanno storicamente, negli ultimi 100 anni, dato luogo a pandemie sono ben definite: H1N1, H2N2, H3N2. Ciò ci suggerisce che le pandemie influenzali potrebbero verificarsi solamente in coincidenza di una ciclicità di H1, H2 e H3. E che tale ciclicità è determinata dallo stato di immunità o meno dei diversi strati di popolazione: le nuove generazioni che non hanno avuto contatto con il virus mutato, mancano di immunità specifica diretta contro l’HA (emagglutinina).
Ma allora, per tornare alla domanda iniziale: se pochi o nessuno dei milioni di virus che continuamente infettano gli esseri umani riescono a causare delle pandemie, come nascono le pandemie? I virus pandemici provengono dal virus della pandemia del 1918. Sfortunatamente non conosciamo ancora l’origine del virus del 1918, e le analisi filogenetiche e delle sequenze indirizzate a individuarla sono controverse. E’ probabile che qualche sorta di virus correlato circolasse già dal diciannovesimo secolo. (Il Fatto quotidiano – 8 giugno 2012)
*Francesco Spinazzola Medico infettivologo
Nuova Sars e nuova aviaria. Niente allarmismi ma massima attenzione
Il punto su MERS_Cov e 7N9, le ultime emergenze infettive
Giovanni Rezza*. La recente segnalazione di casi di una sindrome respiratoria simile alla SARS in paesi europei, quali Germania, Inghilterra, Francia e Italia, in persone provenienti dal Medio Oriente, simultaneamente alla comparsa di un nuovo sottotipo di virus influenzale di origine aviaria in Cina, ha di nuovo imposto all’attenzione della comunità internazionale il tema delle infezioni virali emergenti.
LA SINDROME RESPIRATORIA MEDIORIENTALE – Per la verità, la circolazione del virus responsabile della cosiddetta “Sindrome Respiratoria Medio-Orientale” (MERS) già da mesi era stata segnalata in Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. La causa della grave infezione è rappresentata da un coronavirus del gruppo beta, non molto lontano dal punto di vista filogenetico da quello della SARS. Questo virus aveva causato nell’aprile 2012 un ampio focolaio ospedaliero in Giordania, e poi aveva iniziato a dare segno di sé soprattutto nella penisola arabica, dapprima con una serie di casi sporadici o familiari, poi con un ampio focolaio ospedaliero. Infatti, anche questo coronavirus, come quello della SARS, sembra trasmettersi soprattutto per contatto stretto e prolungato, come avviene appunto all’interno di una corsia ospedaliera, di un nucleo familiare o del posto di lavoro.
I sintomi – Dal punto di vista clinico la MERS non è stata ancora ben caratterizzata, ma probabilmente la sintomatologia varia da casi febbrili lievi (una sorta di sindrome influenzale) a casi di grave polmonite con insufficienza respiratoria, soprattutto nelle persone anziane e/o già compromesse per patologie di base. L’origine, ovvero l’animale serbatoio naturale dell’infezione, non è nota, ma si pensa che, al pari della SARS, possa essere in causa qualche specie di pipistrello. Come classicamente avviene, poi, dopo aver fatto il salto di specie, il virus è in grado di mutare “umanizzandosi”. I casi di importazione segnalati in Europa hanno dato vita al massimo a due o tre casi secondari, soprattutto in ambiente familiare od ospedaliero, ma non si è avuta trasmissione ulteriore dell’infezione.
La diffusione – Quanto circoli il coronavirus della MERS in Medio Oriente non è tuttora noto, così come rimane da definire se i casi gravi sinora segnalati rappresentino la punta di un iceberg ben più grande. Se così fosse, a una buona notizia (la sindrome è meno grave e letale di quanto appaia oggi) se ne accompagnerebbe una meno buona (l’infezione è molto più estesa di quanto ci si aspetti). Solo studi sieroepidemiologici potranno chiarire questo aspetto fondamentale per comprendere appieno il potenziale epidemico di un’infezione che per ora ha causato solo alcune decine di casi molti dei quali letali.
LA NUOVA AVIARIA – Per quanto riguarda il nuovo virus influenzale aviario A/H7N9, invece, la trasmissione umana sembra essere molto limitata o addirittura non provata, eppure si sono manifestati in Cina, soprattutto nell’area di Shangai, oltre cento casi di malattia. Anche in questo caso, si tratta di polmoniti gravi in grado di causare il decesso per distress respiratorio. È probabile che il serbatoio naturale di questo virus riassortante sia rappresentato da uccelli selvatici e quindi trasmesso al pollame che, come nel caso del ben più noto H5N1, potrebbe quindi contagiare l’uomo. A differenza di H5N1, che però faceva stragi di polli, H7N9 non sembra in grado di causare malattia nel pollame.
In questo senso è più subdolo e difficile da controllare, in quanto non è mai possibile sapere dov’è il nemico, a meno che non si eseguano test specifici. Comunque, se il virus non si adatta maggiormente all’uomo, il potenziale epidemico resta per fortuna limitato, come testimoniato dal declino nel numero di nuovi casi a seguito dell’implementazione di misure di controllo.
Quindi, dopo i clamori suscitati dalla SARS nel 2002/3, messa sotto controllo grazie alla mobilitazione internazionale, poi dall’influenza aviaria H5N1, che non è mai divenuta trasmissibile in maniera efficiente da persona a persona, e infine dall’influenza “suina” H1N1 nel 2009, da molti giudicata troppo mite per essere considerata una vera pandemia, ora ci troviamo di fronte a delle potenziali minacce per il genere umano. Contrastarle con la dovuta attenzione senza indulgere in dannosi allarmismi è un dovere della sanità pubblica internazionale. (Corriere della Sera – 9 giugno 2013)
Giovanni Rezza
Dipartimento Malattie Infettive – Istituto Superiore di Sanità