In questo Speciale pensioni, un inserto di quattro pagine, con le regole generali, gli esempi e le risposte ai lettori, il Sole 24 Ore offre una sintesi della situazione attuale, con i requisiti previsti dall’ultima riforma per il pensionamento di vecchiaia e anticipato, delle transizioni previste. Ma offre anche uno strumento pratico per il calcolo del momento di pensionamento personale con l’ipotesi di assegno che potrebbe essere incassato alla luce dei coefficienti di trasformazione entrati in vigore quest’anno e validi fino al 2016. Quale che sia l’assetto finale di un sistema previdenziale pubblico e del connesso sistema previdenziale complementare privato l’informazione riveste un ruolo fondamentale. Scarica lo speciale.
Quando si evoca, come ha fatto Enrico Letta nel discorso d’insediamento, il tema del pensionamento flessibile, è poi inevitabile che questo s’imponga quasi come una costante sui giornali. Tanto più se l’annuncio di correzione dell’ultima riforma (articolo 24 della legge 214/2011, il cosiddetto “Salva Italia”) spunta dopo oltre un anno di polemiche sui lavoratori esodati e poi salvaguardati. Oggi quell’emergenza si sta chiudendo. Ma la prospettiva aperta non è meno delicata, con intere corti di lavoratori prossimi ai 60 anni che dovranno “resistere” 3 o 5 anni ancora prima di andare in pensione.
Flessibilità in uscita
Ecco perché si parla (e si lavora) a un progetto di re-introduzione della flessibilità di pensionamento in uscita. Perché in un mercato del lavoro in contrazione da qualche anno è ormai fin troppo chiaro che l’obiettivo della convergenza dei requisiti tra uomini e donne nel 2018 (a 66 anni e 7 mesi per la vecchiaia; 42 anni e 10 mesi di versamenti per l’anticipata) appare oggi quasi insostenibile. Il Governo ha messo ufficialmente la sordina sulla questione: se ne parlerà dopo l’estate e dopo il varo del «pacchetto occupazione», continua a ripetere il ministro Enrico Giovannini. Ma intanto c’è chi prepara la strada, come il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, primo firmatario di un disegno di legge che prevede un pensionamento flessibile (tra 62 e 70 anni) con penalizzazioni gradualizzate. Un progetto su cui si può «cominciare a ragionare», ha detto Maurizio Sacconi, che presiede la Commissione Lavoro del Senato. Si vedrà. E si vedrà anche se, sempre parlando di flessibilità in uscita ma questa volta con una motivazione diversa, decollerà anche la staffetta generazionale, pensata per favorire l’ingresso di un giovane in formazione al posto di un anziano che accetta il part-time a contribuzione piena.
I numeri del sistema
Intanto a parlare sono i numeri. Quelli della Ragioneria generale dello Stato e quelli dell’Inps, presentati l’altro giorno al congresso nazionale degli attuari. Scenari non nuovi che fotografano il quadro generale di un sistema previdenziale pubblico la cui tenuta finanziaria dovrebbe essere garantita nel lungo periodo, con un spesa per pensioni mantenuta attorno alla soglia del 15% del Pil. Ma scenari che, quando entrano nel particolare, riaccendono le inquietudini di molti. L’allungarsi della speranza di vita e l’aggiustamento automatico che essa determina per via dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione, riduce gli assegni, in prospettiva, a meno del 70% dell’ultimo stipendio per un lavoratore dipendente che si ritirerà tra poco più di vent’anni (64% se il lavoratore è autonomo). Sono livelli adeguati? Saranno davvero perseguibili? E ancora, un sistema finanziato con la ripartizione continuerà a reggere se i livelli occupazionali non tornassero a salire presto ai livelli pre-crisi?
Eccole le tante domande che rendono il tema della previdenza perennemente attuale. In questo Speciale pensioni offriamo una sintesi della situazione attuale, con i requisiti previsti dall’ultima riforma per il pensionamento di vecchiaia e anticipato, delle transizioni previste. Ma offriamo anche uno strumento pratico per il calcolo del momento di pensionamento personale con l’ipotesi di assegno che potrebbe essere incassato alla luce dei coefficienti di trasformazione entrati in vigore quest’anno e validi fino al 2016.
Quale che sia l’assetto finale di un sistema previdenziale pubblico e del connesso sistema previdenziale complementare privato (cui oggi aderisce purtroppo solo un lavoratore dipendente su quattro) l’informazione riveste un ruolo fondamentale. Conoscere i propri destini previdenziali è indispensabile per fare le scelte che contano davvero. Presto l’Inps dovrebbe lanciare a regime una comunicazione completa sui conti integrati previdenziali, assolvendo a un progetto perseguito da anni che sembra finalmente arrivato all’«ultimo miglio». In attesa delle prossime correzioni alla riforma, almeno questa pietra miliare dell’informazione previdenziale è bene che venga superata.
L’uscita dal lavoro ritarda sempre di più
Il sistema pensionistico italiano è stato sempre considerato all’estero come uno tra quelli più ricchi. La prestazione poteva infatti essere ricevuta solitamente in età anticipata, in una misura del tutto adeguata alle esigenze dei lavoratori. Nel corso degli ultimi venti anni però, e in particolare dopo la Riforma Fornero del dicembre 2011, la situazione si è capovolta. Siamo ora tra i Paesi con uno dei sistemi più rigidi, dove i lavoratori nella sostanza non sono a conoscenza del momento in cui raggiungeranno il diritto alla prestazione e dove la copertura finale è stata ridotta.
Tutti i requisiti stabiliti per l’accesso al pensionamento sono infatti destinati a incrementarsi sulla base dell’evoluzione della sopravvivenza media della popolazione.
L’introduzione del metodo contributivo, che stabilisce anch’esso un adeguamento automatico del calcolo della prestazione alla speranza di vita media della popolazione, ha prodotto il resto. Ciò che appare evidente è che in futuro, a meno di carriere iniziate in età anticipata, costanti e non caratterizzate da varie interruzioni contributive, il pensionamento avverrà intorno ai 70 anni di età.
Attualmente, per gli uomini, la prestazione di vecchiaia può essere ricevuta dal primo giorno del mese successivo a quello in cui sono raggiunti i 66 anni e tre mesi.
Per le donne del settore privato invece tale età risulta essere più contenuta, pari a 62 anni e tre mesi.
Dal 1° gennaio 2016, e successivamente dal 1° gennaio 2019, ogni due anni (invece che ogni tre), tutti i limiti verranno automaticamente adeguati all’evoluzione della sopravvivenza media.
Non solo, i requisiti fissati per le donne saranno anche incrementati per consentire al sistema, dal 2018, di conseguire la coincidenza tra le modalità di accesso alle prestazioni indipendentemente dal sesso dei lavoratori (rendendo altresì uguali i requisiti stabiliti per le dipendenti impiegate nel settore privato e in quello pubblico, per queste ultime i requisiti attuali coincidono con quelli disposti nei confronti dei dipendenti).
Lo stesso processo sarà applicato anche in relazione a quanto stabilito per il pensionamento anticipato (quello al quale è possibile accedere avendo raggiunto una determinata anzianità contributiva indipendentemente dall’età posseduta). Attualmente, infatti, la prestazione anticipata può essere ricevuta dagli uomini dopo aver maturato 42 anni e cinque mesi di anzianità contributiva.
Per le donne il requisito è ridotto di un anno. Nel caso di pensione anticipata maturata prima dei 62 anni è prevista una penalizzazione annua dall’1 al 2% sull’entità dell’assegno, ma esclusivamente per le quote di trattamento calcolate con il metodo retributivo. Le riduzioni (il 2% si applica per ogni anno di anticipo prima dei 60 anni sono congelate fino al 2018 se la contribuzione deriva solo da prestazione effettiva di lavoro (comprese la malatta, la cig, l’astensione obbligatoria per maternità e così via).
La riforma Fornero ha inoltre generalizzato, dal 2012, il calcolo contributivo delle prestazioni.
Per quanti, in base alla riforma Dini, avevano continuato a fruire del più generoso metodo di calcolo retributivo (perché al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi) dallo scorso anno la pensione sarà calcolata con il principio del pro-rata, aggiungendo un’ulteriore quota a quelle maturate fino al 31 dicembre 2011 determinate con il metodo retributivo. Per i periodi successi, infatti, la valorizzazione avverrà con il metodo contributivo.
Per le donne, dipendenti o autonome, la riforma Fonero ha conservato, fino al 2015, il regime sperimentale che consente la pensione a 57 anni (per le dipendenti) e 58 (per le autonome) con l’opzione per il calcolo contributivo.
La scelta, però, è vincolata al “vecchio regime” delle decorrenze posticipate (le “finestre”) di 12 mesi per le dipendenti e di 18 per le autonome. In tale ottica, la decorrenza della prestazione dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2015. Infine, va ricordato che anche in questo caso tutti i requisiti anagraficie contributivi sono soggetti, in base alla legge Fornero all’incremento collegato alla speranza di vita.
Ciò vale anche per le donne che scelgono il contributivo: dal 2013 l’età anagrafica è diventata 57 e tre mesi per le dipendenti e 58 anni e tre mesi per le autonome.
Infine, per i lavoratori iscritti alla previdenza dal 1996, soggetti solo al calcolo contributivo, potranno accedere alla pensione compiuti i 63 anni (e tre mesi per il primo adeguamento nel 2013 relativo all’aspettativa di vita) e raggiunti i 20 anni di contributi effettivi (non contano quelli figurativi). Questa possibilità è però subordinata a un assegno minimo, pari almeno a 2,8 volte quello sociale (per il 2013 la soglia è 1.238,44 euro).
Assegni determinati dalla carriera
I maggiori istituti di ricerca indicano nel corso dei prossimi venti anni una presumibile crescita della sopravvivenza media intorno ai tre anni. Tale sarà anche l’incremento che verrà apportato a tutti i limiti di età e anzianità contributiva previsti dal sistema pubblico per la maturazione del diritto alla prestazione.
Si andrà in pensione quindi a un’età avanzata e si dovrà però anche monitorare in maniera continua la prestazione maturata. Il raggiungimento al pensionamento di una copertura adeguata non risulta infatti essere un elemento scontato ( si vedano i casi presentati in queste pagine). L’introduzione del metodo contributivo, assieme all’evoluzione del contesto economico e demografico, ha drasticamente ridotto la copertura finale offerta dall’Inps. La proiezione delle prestazioni che il sistema è in grado di garantire alla cessazione dal servizio lo conferma in maniera immediata.
Si considerino tre lavoratori dipendenti in possesso al 31 dicembre 2013 di tre età diverse: 40, 50 e 60 anni. Tutti e tre i lavoratori si sono stati iscritti all’Inps per la prima volta al compimento dei 25 anni di età con una retribuzione annua lorda in termini reali (in valore di oggi quindi) pari a 15mila euro. I lavoratori sono rappresentativi di tre ipologie di calcolo previste dall’Inps. Il quarantenne ha iniziato lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e riceverà una prestazione determinata solo sulla base del metodo contributivo. Il cinquantenne, dal 1996, ha già maturato una quota di pensione con il metodo di calcolo contributivo. Il sessantenne invece, in possesso di 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, potrà contare sul metodo retributivo per tutti i contributi maturati fino al 31 dicembre 2011, quindi il contributivo pro rata dal 1° gennaio 2012, secondo quanto stabilito dalla riforma Fornero. Si è inoltre ipotizzato che i lavoratori possano percorrere tre diverse carriere. Una, rappresentativa di un dipendente di livello medio impiegatizio con una retribuzione finale pari, sempre in termini reali, a 30mila euro. Un’altra, rappresentativa di un livello medio, un funzionario (e una retribuzione finale annua di 60mila euro). L’ultima, indicativa di una carriera dirigenziale caratterizzata da una retribuzione percepita nell’anno immediatamente precedente il pensionamento pari a 120mila euro.
L’evoluzione retributiva si è ipotizzato sia avvenuta in maniera costante nel corso di tutta la carriera lavorativa (con il medesimo incremento annuo quindi). L’incremento annuo del Pil è stato previsto nella misura dell’1% in termini reali (al netto quindi dell’equivalente incremento del costo della vita). Il pensionamento è stato ipotizzato a 68 anni o 70 a seconda della situazione individuale. Tutte le pensioni annue stimate sono state espresse in percentuale dell’ultima retribuzione annua percepita, attraverso il cosiddetto tasso di sostituzione.
Dai risultati delle proiezioni emerge chiaramente l’impatto del metodo contributivo sulla copertura offerta dal sistema. La prestazione infatti risulta essere più elevata, più il dipendente risulta essere prossimo al pensionamento e più la prestazione è calcolata adottando il metodo retributivo.
Dai risultati si evidenzia anche come la copertura offerta dal sistema si riduca al crescere della retribuzione percepita. A parità di condizioni infatti il tasso di sostituzione risulta essere più elevato più la retribuzione percepita al momento del pensionamento risulta essere contenuta.
Le medesime proiezioni sono state anche effettuate anche per lavoratori autonomi. I tassi di sostituzione però si riducono ulteriormente rispetto a quelli che erano garantiti nei confronti dei lavoratori dipendenti. La stima della prestazione finale evidenzia in diversi casi situazioni nell’ambito delle quali difficilmente la copertura offerta consentirà la prosecuzione del medesimo tenore di vita tenuto nel corso dell’attività lavorativa.
Ciascun lavoratore, dunque, riceverà una prestazione finale che sarà influenzata dalla storia personale (evoluzione retributiva, media, nel corso di tutta la carriera retributiva, accelerata, nella prima parte oppure ritardata, nell’ultima; tipologia di inquadramento contrattuale (sempre come lavoratore dipendente oppure anche contratti alternativi o come libero professionista); eventuali periodi di part time eccetera) e dalle scelte operate (eventuale richiesta del riscatto dei periodi di laurea, ricongiunzione o totalizzazione dei periodi maturati in più gestioni, adesione alla previdenza complementare, utilizzo del Tfr come forma di risparmio previdenziale).
La morale? La previdenza pubblica è sempre più subordinata a requisiti severi e garantirà una copertura – intesa come tasso di sostituzione – più limitata. Un punto di arrivo di cui è bene prendere coscienza fin dagli inizi dell’attività lavorativa, anche quando questa è segmentata o caratterizzata da stipendi contenuti.
Il Sole 24 Ore – 8 giugno 2013