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Stipendi pubblici, dal 2010 riduzione di 11 miliardi. La sanità ha perso 26mila lavoratori. I dati della Corte dei conti

medico licUna sforbiciata secca del costo del lavoro di 11 mld dal 201o, con un calo del 6,3%. E ancora un calo dell’1% l’anno scorso, nonostante le previsioni di una ripresa delle retribuzioni. Con un esercito di 3,2 milioni di dipendenti che intanto è dimagrito del 7% dal 2008 al 2014, con la scuola al top che ha fatto registrare il 9% in meno di dipendenti, ma prima della “buona scuola”. Il personale pubblico ha fatto la sua parte, e anche di più, in questi lunghi anni di crisi, dice la Corte dei conti nella relazione 2016 sul costo del lavoro nelle Pa presentato ieri al ministero della Semplificazione con la ministra Marianna Madia. Una relazione particolarmente puntuale, quella della Corte dei conti, presentata dal presidente Raffaele Squitieri, dal presidente delle sezioni riunite Angelo Buscema e dal consigliere Mario Lispi Landi, alla presenza anche del presidente dell’Aran, Sergio Gasparini. Puntuale perché si inserisce in un momento mini-contrattuale particolarmente delicato.

Ma anche per l’imminente varo di uno dei tasselli della “legge Madia”: lo schema di Dlgs contro l’assenteismo, che ieri ha ricevuto l’ultimo sì della Camera e ora attende soltanto l’ormai imminente varo del definitivo del Consiglio dei ministri. La ministra Madia ieri ha ribadito che gli aumenti andranno «prima a chi guadagna meno», fino a 28mila euro è un’ipotesi, e che «chi guadagna 200mila euro può aspettare». Tutto questo nonostante la Corte dei conti non abbia evitato di sottolineare che i 300 mln stanziati dalla legge di Stabilità 2016 per il rinnovo dei contratti coprano la «sola indennità di vacanza contrattuale ». Di più: sono finanziati con «un nuovo inasprimento delle politiche di contenimento delle assunzioni», col risultato di riproporre «una misura che sembrava superata nella manovra per il 2015».

Il costo del lavoro pubblico nel 2015 si sarebbe attestato a 161,7 mld «con una sorprendente riduzione sul 2014», annota la Corte dei conti nel ricordare che il Def addirittura stimava una seppur lieve ripresa. Invece i tagli sono continuati, con l’effetto principale del blocco del turn over e «il contestuale blocco di ogni incremento retributivo». Il tutto, in una situazione del rapporto tra costo del lavoro pubblico e Pil che «vede l’Italia collocata nell’Ue tra i Paesi più virtuosi». Ma anche con un popolo di dipendenti più vecchio e meno efficiente. (Il Sole 24 Ore)

CON LA CRISI LA SANITÀ HA PERSO 26MILA LAVORATORI. GIÙ ANCHE GLI STIPENDI E SU L’ETÀ. I DATI DELLA CORTE DEI CONTI

Una cinghia che continua a stringersi. Questa la fotografia del pubblico impiego fatta dalla Corte dei conti nella sua Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico presentata ieri a Roma.

In totale (al 31 dicembre 2014) i dipendenti pubblici sono circa 3.253.000 unità  concentrate per oltre due terzi in tre comparti: Scuola (31,9%), Sanità (20,4%) e Regioni ed Enti locali – contratto nazionale (14,5%). Considerando anche gli addetti del Comparto sicurezza-difesa e soccorso pubblico (16,4%) si supera agevolmente l’80% della platea degli interessati. Altri comparti con un peso ancora significativo sono quelli dei Ministeri (4,9%) e dell’Università (3,1%).

tab lav ssnCon riferimento al Servizio sanitario nazionale gli addetti nel 2014 sono risultati circa 664.000, con una diminuzione di quasi 4 punti percentuali rispetto al 2008 (-26.000 unità) particolarmente rilevante per le posizioni dirigenziali di vertice. Sempre rispetto al 2008, risultano in servizio circa 5.300 medici in meno mentre diminuiscono di oltre 1.500 unità i dirigenti delle professionalità sanitarie. Relativamente al personale non dirigente, il calo interessa soprattutto i profili del ruolo infermieristico (6.600 unità in meno). Rilevante, altresì, la diminuzione del personale con rapporto di lavoro flessibile (circa il 20 per cento di unità in meno rispetto al 2008 quando erano 42.000) anche se è da evidenziare come nel 2013 il numero dei precari sia tornato a crescere del 6%.

Per quanto riguarda i costi degli stipendi anch’essi si contraggono. Nel 2014 lo Stato ha pagato 26,5 mld, una cifra di 260 mln inferiore a quella spesa solo nel 2013 (circa -1%). Ma il problema è anche l’età del personale che avanza. Nel 2008 gli over 50 erano il 40% del personale del Ssn, nel 2014 la percentuale è arrivata al 50.

In questo “lungo periodo di blocco della parte economica della contrattazione collettiva – evidenzia la Corte dei conti – non è stato utilizzato dalle parti per il necessario completamento del quadro normativo e per i pur auspicati interventi di ridefinizione della composizione della retribuzione”.

Unica eccezione gli specialisti ambulatoriali ed agli altri professionisti convenzionati con il servizio sanitario nazionale, che in data 17 febbraio 2015, hanno sottoscritto il nuovo contratto normativo triennale, con il quale la cornice ordinamentale del rapporto di lavoro, a parità di retribuzione, è stata profondamente rivista al triplice scopo di:

– adeguare le disposizioni contrattuali vigenti alle modifiche dell’assetto organizzativo della medicina convenzionata introdotte con il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189;

– redigere un testo unico coordinato delle disposizioni contrattuali vigenti tenendo conto dei criteri interpretative elaborati dalla SISAC, e degli indirizzi consolidati della giurisprudenza di legittimità e di merito;

– raccordare la giurisprudenza dei professionisti convenzionati con il servizio sanitario nazionale con le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 150 del 2009.

Dopo anni di blocco ora qualcosa sembra muoversi, in primis con l’intesa tra sindacati e Aran sulla revisione dei comparti e aree. Ma questo non basta la Corte dei conti “auspica che la contrattazione collettiva affronti i nodi irrisolti del pubblico impiego, contribuendo a delineare un assetto ordinamentale, per quanto attiene alle materie di competenza, coerente con il disegno normativo di riforma dell’amministrazione pubblica.

“Il rischio da evitare – dice la Corte –  è quello di una contrattazione minimale che, anche in relazione alla scarsità delle risorse disponibili, si limiti a prevedere incrementi indifferenziati sulle sole componenti fisse della retribuzione”. (Quotidiano sanità)

9 giugno 2016 

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