
Vaccini, la produzione cresce ma resta nelle mani dei Paesi ricchi. Moderna ha annunciato un investimento per la realizzazione, entro quattro anni, di uno stabilimento in Africa. Ancora da decidere dove
Il Sole 24 Ore. Nonostante gli appelli dell’Oms e di molti esperti a vaccinare prima possibile anche – almeno – il 10% degli abitanti dei paesi più poveri, in quelli a reddito più basso solo l’1% della popolazione è vaccinato, mentre in quelli a reddito medio non si supera il 10%. Evidentemente, affidarsi alla sola generosità dei paesi più ricchi non è stato fin qui sufficiente. Questa la conclusione dell’ultima conferenza Global Covid-19 Summit, svoltasi a fine settembre, nella quale è stato fatto il punto sulla situazione a livello mondiale.
Come ricorda Nature in un dettagliato resoconto, molto dipende dal fatto che, per quanto la produzione sia aumentata, è rimasta saldamente nei pochi stabilimenti europei e nordamericani autorizzati: Pfizer non ha autorizzato alcuna manifattura né in India, né in Sud America né in Africa, ufficialmente perché non ha trovato aziende che garantiscano la qualità in nessuna di queste aree, e ci vorrebbe troppo tempo per raggiungere standard qualitativi sufficienti. Gli sforzi, piuttosto, sono stati concentrati nell’aumento della produzione esistente. Moderna ha fatto lo stesso. Tuttavia, anche in seguito alle pressioni di associazioni di consumatori quali Public Citizen, che hanno continuato a ricordare che il governo statunitense ha investito ben 1,4 miliardi di dollari nel 2020 per accelerare lo sviluppo del vaccino, ponendo come condizione la condivisione di dati e tecnologie, sembra aver cambiato strategia. L’azienda di Cambridge ha infatti appena annunciato un investimento da 500 milioni per la realizzazione, in 2-4 anni, di uno stabilimento in Africa, per produrre 500 milioni di dosi da 50 microgrammi all’anno. Si tratta di un primo segnale positivo dopo che, per mesi, Moderna e Pfizer si sono rifiutate di concedere alcunché, probabilmente per il timore che le procedure di lavorazione, una volta giunte in India o in altri paesi, sfuggissero al controllo. Anche perché, secondo consorzi no profit che lavorano per la distribuzione dei vaccini quali AccessIbsa, con sede a Bangalore, produrre i vaccini a mRna, in realtà, sarebbe molto meno difficile di quanto viene detto, e sarebbe più facile e veloce rispetto a ottenere quelli a vettore, una volta messa a punto la filiera di lavorazione (processo che richiederebbe qualche mese). La produzione massiva potrebbe quindi essere alla portata di quasi tutti i paesi entro poco tempo, e a costi ragionevoli, se ve ne fosse la volontà. E questo sarebbe necessario, perché, nonostante Moderna e Pfizer siano già in grado di produrre 12 miliardi di vaccini all’anno, avendo molti governi raccomandato la terza dose, ben difficilmente le due aziende provvederanno a rifornire i paesi che non possono pagare.
Alcuni stati, d’altro canto, stanno procedendo indipendentemente. È il caso del Sudafrica, che ha deciso di provare a replicare i vaccini in commercio, incentivando al tempo stesso la conduzione dei grandi trial internazionali sul suo territorio, o della Thailandia, che lavora a un suo vaccino a mRna. Altri, invece, stanno optando per vaccini più tradizionali e più economici, e ciò spiega perché un terzo dei vaccini utilizzati nei paesi più poveri sia già oggi quello cinese, a virus inattivato. La Russia, poi, ha concesso a 34 paesi, tra i quali India e Brasile, la possibilità di produrre lo Sputnik V, anche se questa apertura si è scontrata, fin qui, con il fatto che il vettore virale della seconda iniezione, diverso dal primo, è difficile da ottenere in quantità, anche perché è lo stesso utilizzato da Johnson&Johnson.
Ma la crisi peggiore è forse, al momento, quella del programma della stessa Oms, il Covax, che avrebbe dovuto arrivare laddove i governi non riescono a garantire una copertura soddisfacente. Lo stallo è iniziato in primavera, quando l’India, travolta dalla pandemia, ha deciso di limitare le esportazioni di vaccino a vettore prodotto dal Serum Institute. Ciò ha causato il rinvio di due miliardi di dosi previste nel 2021 al 2022. Il programma, poi, non può fare affidamento sullo Sputnik V, non autorizzato dall’Oms nonostante lo sia dall’India, dal Brasile e da decine di altri paesi (mentre la stessa Oms può acquistare proprio J&J, più costoso, e realizzato appunto con lo stesso vettore). Non si intravedono, quindi, soluzioni rapide: Moderna non ha ancora neppure deciso dove costruirà il suo stabilimento. Nel frattempo si spera nell’arrivo di altri vaccini, più tradizionali, a subunità (come Novavax), per allargare l’accesso, prevenire migliaia di morti e scongiurare il rischio di nuove varianti.