L’accusa è pesante: disastro ambientale a causa del rilascio di sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas). Legambiente e dodici associazioni ambientaliste chiedono, in un esposto alle procure di Vicenza e di Verona, di sequestrare i pozzi contaminati attorno alla fabbrica Miteni di Trissino e di individuare i responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere di 59 comuni fra le province di Vicenza, Verona e Padova, da Trissino giù fino a Montagnana, passando per Lonigo, Cologna Veneta e Vicenza. «Queste sostanze persistono 60 anni nell’acqua e 5 nel sangue – dice Vincenzo Cordiano dell’associazione Isde Medici per l’ambiente – ed è dimostrata una correlazione con l’aumento dei tumori ai testicoli e ai reni». Due anni fa il Cnr scoprì nelle falde del bacino dell’Agno un’altissima concentrazione di Pfas, proveniente dalla Miteni, nata 40 anni fa come Rimar (Ricerche Marzotto) e ora acquisita alla multinazionale Icig.
Le Pfas rendono i materiali idrorepellenti e perciò si trovano nel teflon delle pentole e nel tessuto goretex. L’Arpav, dopo una campagna di rilevazioni, ha trasmesso alla procura berica una notizia di reato per adulterazione di sostanze alimentari, un reato minore. Legambiente punta più in alto: «L’inquinamento è irreversibile e ha effetti disastrosi sulla salute umana – dice l’avvocato Enrico Varari che firma l’esposto –. Si blocchino i pozzi la cui acqua, usata per raffreddare gli impianti della Miteni, contiene alte percentuali di Pfas». (Il Corriere di Verona – 18 novembre)
Inquinamento da Pfas, scatta esposto per disastro ambientale
Da L’Arena del 18 novembre. I comitati chiedono il sequestro dei pozzi di un’azienda chimica che l’Arpav ritiene responsabile della contaminazione dell’acqua
Disastro ambientale. È questo il reato per il quale 12 gruppi ambientalisti del Veronese e del Vicentino hanno chiesto l’intervento delle Procure della Repubblica di Verona e Vicenza. Il tema è quello degli ormai famigerati «Pfas»: le sostanze perfluoro-alchiliche che normalmente vengono prodotte per rendere impermeabili stoviglie, carta e stoffe ma che da decenni inquinano le acque sia dell’acquedotto che di flumi e canali, comprese quelle che vengono usate per l’irrigazione.
L’esposto è stato illustrato ieri mattina in un incontro svoltosi nella sede vicentina di Legambiente. «Chi ha sbagliato deve pagare», ha esordito Piergiorgio Boscagin, il presidente del circolo Legambiente di Cologna che è uno dei referenti del comitato Acqua libera dai Pfas. «Da quarant’anni», ha aggiunto, «il territorio posto a cavallo fra le provincie di Verona, Vicenza e Padova è martoriato da quelli che è difficile definire come dei semplici incidenti. Almeno sui Pfas è necessario fare chiarezza. Negli Stati Uniti, in un caso simile a quello scoperto da noi, l’industria Dupont è stata costretta, in seguito ad un’azione legale per la quale si sono messi insieme i cittadini, a risarcire 300 milioni di dollari di danni, di cui 70 destinati ad un’indagine epidemiologica compiuta da esperti indipendenti. Da noi nessuno ha sinora legiferato stabilendo dei limiti alla presenza dei Pfas nell’acqua potabile – gli unici riferimenti, solo indicativi, esistenti sono nettamente superiori rispetto a quelli americani – ed è stato annunciato per l’inizio del prossimo anno un biomonitoraggio sullo stato di salute delle persone che interesserà solo una piccola parte dei 300.000 cittadini esposti al contagio».
«I dati ufficiali attestano che qui c’è una situazione difficile dal punto di vista sanitario», ha aggiunto Vincenzo Cordiano, ematologo a capo della sezione vicentina dell’associazione dei medici per l’ambiente Isde. «Il Veneto è al primo posto in Italia per quanto riguarda l’incidenza di tumori ed i dati relativi alle Ulss del Basso vicentino mostrano una situazione molto preoccupante per quanto riguarda l’incidenza delle patologie cancerogene. Patologie che, secondo gli studi, si verificano maggiormente in casi di assunzione di Pfas, come quelle al rene, ai testicoli o ai linfonodi, che colpiscono soprattutto la popolazione in età adolescenziale».
«L’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpav) di Vicenza aveva già inoltrato una notizia di reato alla Procura ed è in seguito a quell’atto dovuto che abbiamo elaborato questo esposto, che parte dalla considerazione che questa è una contaminazione dagli effetti disastrosi e che non è una giustificazione il fatto che mancano delle leggi in materia», ha aggiunto Enrico Varali, l’avvocato veronese estensore della denuncia.
Per questo, l’esposto non solo chiede alle Procure di verificare le responsabilità relative a quanto sinora accertato ma anche di disporre il sequestro dei pozzi usati dall’industria «Milteni» di Trissino (Vicenza), l’unica realtà accusata della contaminazione, che sono collegati ad un vicino corso d’acqua.
«In base alle situazioni accertate dall’Arpav lì c’è una situazione che rischia di perpetuare l’inquinamento», ha precisato Varali. D’altronde, secondo le analisi fatte fare da alcuni privati, non mancano nel Basso vicentino pozzi in cui ci sono Pfas in percentuali superiori anche ai limiti obiettivo stabiliti dall’Istituto superiore di sanità – gli unici, per quanto non cogenti, ai quali è possibile fare riferimento in Italia – e starebbe anche aumentando la loro presenza negli acquedotti, per quanto venga contenuta grazie all’uso di costosi filtri a carboni attivi. Se non bastasse, questa già ingarbugliata vicenda rischia di veder svilupparsi un secondo fronte. «La Milteni sta ora producendo delle sostanze che rispetto ai Pfas hanno una minore durata di vita ma un impatto sulla salute analogo se non peggiore alle altre e che i filtri non trattengono», ha infatti concluso Cordiano. Aggiungendo preoccupazione a preoccupazione.
18 novembre 2014